BEYOND THE ADVANCED PSYCHIATRIC SOCIETY- A COLLECTIVE RESEARCH/ OLTRE LA SOCIETA' PSICHIATRICA AVANZATA- UNA RICERCA COLLETTIVA


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lunedì 11 giugno 2012

Re: Ellen West/ Introduzione di Albrecht Hirschmüller [in Albrecht Hirschmüller (a cura di), "Ellen West - Eine Patientin Ludwig Binswangers zwischen Kreativität und destruktivem Leiden", Asanger Verlag, 2003, pag. 13-78, trad. GC]



Nel 2004 scoprii il libro di Hirschmüller, che mi sconvolse; ne parlai a lungo in un saggio l'anno successivo; entrai in contatto con una casa editrice proponendo una pubblicazione, che poi non ebbe luogo; in quella circostanza tradussi l'introduzione al libro. Il 'caso Ellen West' era da tempo nel mio pantheon personale, dopo la edizione curata da Ferruccio Giacanelli- che era allora il mio direttore nell'O.P. di Colorno- nel 1973. Non solo nel mio comunque: si pensi al Ronald Laing de 'L'Io diviso', al ruolo che 'Il caso E.W.' di Binswanger ha in 'Existence' di Rollo May, E.Angel ed Ellenberger, e in Carl Rogers (che attaccò spietatamente, già negli anni '50, la posizione di Binswanger- v. la sezione II del mio saggio già citato); e, last not least, al ruolo che tomb-world e personalità schizoide giocano nell'opera di Philip K. Dick.  Ecco la traduzione che feci- più una serie di link etc che possono aiutare. Devo a Francesca Brencio dell'Università di Perugia se ho rimesso mano a questo nexus. Restano lo smarrimento, l'indignazione, il dolore. GC



Introduzione



Nel 1921 Ludwig Binswanger ebbe in cura nella sua Casa di Cura privata Bellevue di Kreuzlingen per la durata di tre mesi una giovane donna di cui 23 anni dopo pubblicò la storia clinica sotto lo pseudonimo di ‘Ellen West’. Il suo studio, lungo in tedesco 136 pagine, espone la storia clinica per poi discuterla alla luce dei concetti teorici dell’Analisi Esistenziale- la commistione genuinamente binswangeriana di psicanalisi e filosofia dell’esistenza. Si può dire che questo caso fu paradigmatico per l’analisi esistenziale.
Vorrei esporre questo caso, e la visione di Binswanger, avendo in mente una domanda: se il corso del processo morboso e del trattamento di questa paziente e il processo diagnostico ebbero qualcosa a che fare con il Transfert, e come il rapporto medico-paziente ha interagito con diagnosi e comprensione teorica. Procederò a questo fine in quattro passi: Nella prima parte riassumerò quanto noi sappiamo di Ellen West sulla base del testo originario di Binswanger; Nella seconda presenterò del materiale non pubblicato proveniente dalla originaria cartella clinica, che getta nuova luce sul corso del trattamento; Nella terza, sulla base di nuove fonti recentemente scoperte lascerò parlare le voci della paziente, del marito, dei vari curanti; Nella quarta cercherò di discutere quali domande questi nuovi documenti fanno sorgere, e se essi danno qualcosa di nuovo per la comprensione del processo diagnostico e della storia clinica.






1. La paziente nella visione di Binswanger.



Ludwig Binswanger e l’analisi esistenziale



Ludwig Binswanger nacque nel 1881 a Kreuzlingen. Il suo nonno, Ludwig Binswanger senior (1820-1880), aveva fondato la ‘Bellevue’ avendo in mente una piccola clinica privata, basata su un trattamento famigliare e socioterapeutico; Suo padre, Robert Binswanger (1850-!910), aveva continuato a svilupparla dopo la morte di questi, aprendola a ai nuovi concetti psicoterapici- il trattamento basato sulla suggestione proveniente dalla Francia, il metodo catartico da Vienna, la giovane psicanalisi. Anna O., la celebre paziente di Breuer, passò nel 1882 alcuni mesi alla Bellevue. In seguito Breuer e Freud continuarono a indirizzarvi pazienti, dato che secondo loro ‘Le condizioni di quell’istituto sembravano di gran lunga le migliori’ (così scrive Breuere nel 1881, l’anno di nascita di Binswanger, pregando per la prima volta di poter ricoverare a Kreuzlingen la prpria paziente Bertha Pappenheim, Anna O.).
Non c’è da stupirsi che Ludwig Binswanger sia cresciuto immerso in questo mondo- rappresentatoci da Gerhard Fichmer nella sua introduzione all’epistolario fra Sigmund Freud e Bnswanger. Già molto prima della fine del Liceo aveva deciso di sudiare Medicina, per diventare psichiatra e successore di suo padre.Dal 1900 al 1906 studiò a Losanna, Zurigo, Heidelberg e poi di nuovo a Zurigo, ove trovò in Eugen Bleuler, al Burghölzli, il maestro decisivo. Scrisse la tesi con Carl Gustav Jung- utilizzando non solo i test associativi di Jung ma anche la persona del padre medico come oggetto di ricerca. Bisogna considerare che dell’equipe edica del Bughölzli facevano allora parte Karl Abraham, Franz Riklin, Max Eitington e Hermann Nunberg- cioè, a parte Bleuler e Jung, tutta una generazione di giovani psichiatri e psicanalisti della prima ora. Dopo la specializzazione Ludwig Binswanger lavorò per oltre un anno con suo zio Otto Binswanger nella Clinica Psichiatrica Universitaria di Jena. Nel 1908 entrò come collaboratore nell’istituto del padre; nel 1910, dopo la morte improvvisa di costui, ammalato di cuore, egli-non ancora trentenne- dovette assumere la direzione della clinica. In Sigmund Freud egli trovò un secondo importante maestro, dopo Eugen Bleuler. Freud vide nella Clinica Bellevue, che si apriva alla psicanalisi, una istituzione esemplare che sembrava appropriata per costruire nella psichiatria tedesca una credibilità ai concetti psicanalitici. Il rapporto personale rimase intatto fino morte di Freud- non si giunse a una rottura come con altri suoi discepoli, per quanto Binswanger si sviluppasse dal punto di vista intellettuale e teorico in modo assolutamente difforme da Freud. Egli rimase per parte sua leale, e non cercò di distanziarsi dalla psicanalisi- almeno durante la vita di Freud. Una stretta amicizia personale, ben chiara nello scambio di lettere, fece passare sopra molte differenze oggettive.
In contrasto a Freud Binswanger era attirato dalla filosofia, e egli lottò tutta la vita per un fondamento filosofico della psicanalisi, per una ‘Psicologia Generale’.Questi problemi di base egli li discusse di persona e per lettera con filosofi e psicologi, artisti e medici. L’Archivio-Binswanger conserva scambi epistolari con Martin Heidegger e Edmund Husserl, Karl Jaspers, Ernst Cassirer, Otto Friedrich Bollnow, Martin Buber e Paul Häberlin, con Walter Schulz, Eduard Spranger, Wilhelm Szilasi, Wolfgang Schadenwaldt, Erwin Straus, Victor von Weizsäcker e molti altri. Il suo sistema maturò negli anni venti e trenta; nella discussione su un saggio dell’ottobre 1942 intitolato ‘La conoscenza del Dasein’ lo psichiatra Jakob Wyrsch per la prima volta chiamò ‘analisi esistenziale’ il modo di procedere di Binswanger. Nello stesso anno egli pubblicò ‘Grundformen und Erkenntnis menschliches Daseins’ (‘Forme base e conoscenza dell’esistenza umana’), il suo capolavoro- in cui portò a una conclusione preliminare la sua elaborazione teorica della fenomenologia sviluppata da Husserl e Heidegger e della sua fruttuosità per la psichiatria. Si dedicò allora di nuovo al materiale clinico accumulato, e al caso di Ellen West, da lui trattata 20 anni prima.





La storia clinica di Binswanger


La paziente, 34enne al momento dell’ingresso nella Clinica Bellevue, era sposata e senza figli, di origine ebraica, figlia di un padre abbastanza formale, un uomo chiuso, dedito all’azione e volitivo; fra i parenti di questi vi erano state non poche persone psichicamente malate, e figlia di una madre debole, influenzabile, angosciata e a volte depressa.
La paziente fu presto una bambina difficile. A 9 mesi di età rifiutò il latte, e si dovette nutrirla con brodo di carne. Era testarda e ostinata, e non si lasciava smuovere dalle convinzioni cui era giunta. A scuola era ambiziosa, assolutamente decisa a primeggiare. ‘Aut Caesar aut nihil’era il suo motto. Iniziò a comporre poesie; si sentiva chiamata a compiere qualcosa di straordinario; si interessava alle questioni sociali e lodava la benedizione del lavoro. Poesie e annotazioni di diario la mostrano a volte esultante fino alle stelle, a volte profondamente depressa e con la paura di finire in manicomio. Quando ha 20 anni fa un viaggio oltremare- ove era nata- per curare il fratello maggiore gravemente malato, e si fidanza là con un ‘romantico straniero’, ma su desiderio del padre rompe il fidanzamento. In seguito sviluppa una massiccia ansia di ingrassare, e comincia a torturarsi con digiuni. Nel diario si trovano frasi come ‘E ogni giorno divento un po’ più grassa, più vecchia, più brutta’. ‘Se mi farà aspettare ancora a lungo, la grande amica, la Morte, mi metterò in moto io e andrò a cercarla’,- ma altrove sono presenti energia e motivazione: ‘Tutto questo ribolle e palpita in me, sento che sta per rompere ciò che lo trattiene! Libertà! Rivoluzione!’, scrive. ‘Non farò concessioni’, sono ‘una donna dal cuore palpitante’ e così via. Ellen inizia i preparativi per l’esame di maturità, si alza alle 5, cavalca per tre ore, poi riceve lezioni private e lavora tutto il pomeriggio e la sera fino a notte fonda con l’aiuto di caffè caldo e lavaggi con acqua gelida. Quando ha 23 anni c’è un collasso, dopo una spiacevole storia d’amore con un maestro di equitazione. Rinuncia alla progettata maturità, sostiene invece un esame per l’insegnamento e può a 23 anni iscriversi all’università. Conosce uno studente, si innamora di lui, si fidanza; e di nuovo i genitori esigono una separazione. Cerca in tutti i modi di diventare il più magra possibile, e prende enormi dosi di ormone tiroideo. Dopo un viaggio oltremare rinuncia effettivamente al fidanzamento. Alcuni mesi dopo si occupa di lei un cugino, che lei comincia ad amare. Per due anni oscilla fra lo studente ed il cugino, finchè a 28 anni si decide per quest’ultimo. Al momento del matrimonio pesa 72 kili e mezzo, ma subito dopo il viaggio di nozze perde rapidamente peso. Tre mesi dopo, le mestruazioni si arrestano. Si giunge ad una forte emorragia, ed il ginecologo constata un aborto. Di nuovo la paziente prende a torturarsi, assume lassativi e vomita, mentre fa scomparire il cibo e si attacca pesi alla cintura. Prende 60-70 compresse di lassativo al giorno e riesce a scendere a 45 kilogrammi. ‘E serena, d’altra parte, e la sua tranquillità è garantita dal fatto che i suoi amici si prendono cura di lei.
A 32 anni e mezzo la paziente per la prima volta inizia una vera e propria psicoterapia con ‘un giovane ed acuto psicanalista, non seguace incondizionato di Freud’, come scrive Binswanger. Torna a sperare, frequenta conferenze, teatro e concerti, fa delle escursioni, ma è molto irrequieta e di nuovo si spinge troppo in là. Presto ritiene inutile la psicanalisi. Binswanger cita da una lettera a suo marito: ‘Il vedere di quando in quando emergere all’orizzonte la favolosa, dolce regione della vita, l’oasi nel deserto che mi sono creata, non fa che rendere più penoso il cammino. A che serve infatti? Resta un miraggio e di nuovo sparisce. Era più facile prima, quando tutto era grigio intorno a me. Quando nient’altro volevo che essere malata e giacere in un letto. Adesso vorrei esser sana- e non voglio pagarne il prezzo. Spesso questo conflitto mi getta completamente a terra, questo conflitto che non ha mai fine, e dopo la seduta da (lo psicanalista) torno a casa disperata con la consapevolezza che egli può farmi conoscere il mio stato, ma non guarirmi’.
Le poche informazioni date da Binswanger su questo primo trattamento psicanalitico mostrano con tutta chiarezza il problema della paziente: Può pensare e conoscere, ma non sviluppa transfert, non riesce a dare collocazione ai suoi desideri, alle sue tempeste emotive. In questa fase critica, dopo soli sei mesi l’analisi si conclude ‘per motivi esterni’. Di che ‘motivi esterni’ si trattò? Una malattia, un trasferimento dell’analista? Il testo di Binswanger mantiene il silenzio su questo evento. Ci torneremo sopra più tardi.
La reazione di Ellen è in ogni caso molto forte, ha gravi stati di angoscia e di agitazione, salta pasti interi per gettarsi poi con maggiore avidità e senza distinzione su qualsiasi cibo. Non riesce a superare i pianti, l’angoscia e l’agitazione, e non si riesce più a calmarla. All’inizio di ottobre, tre mesi dopo la fine del primo trattamento, inizia una analisi per la seconda volta. ‘Il secondo analista è più vicino del primo alla analisi ortodossa’.
Su sollecitazione dell’analista, il marito lascia la città. Due giorni più tardi la paziente effettua un tentativo di suicidio con sonniferi. L’analista non attribuisce alcun significato a questo tentativo, e prosegue l’analisi. Per il resto Ellen è abbandonata a sé stessa e vagabonda per le strade piangente e senza progetti. Il 7 novembre segue un secondo tentativo di suicidio; in seguito altri ancora, finchè il 12 novembre entra in una clinica internistica.
Su consiglio dell’analista inizia nuovamente a tenere un diario. Dalle sue annotazioni Binswanger cita più tardi: ‘Quando tento di analizzare tutta questa faccenda, non ne viene fuori che teoria. Un almanaccamento. Sentire, mi riesce soltanto di sentire l’inquietudine e l’angoscia. […] Nell’analisi abbiamo dato questa spiegazione: nel mangiare io cerco di soddisfare due cose- la fame e l’amore. La fame viene appagata- l’amore no! Resta il gran buco non riempito.’
Queste e altre osservazioni mostrano con evidenza che avviene qualcosa di simile a quanto si era verificato nel primo trattamento: la terapia resta a livello cognitivo, resta un costrutto. Dal punto di vista delle emozioni non capita praticamente nulla. ‘L’analisi è stata una delusione. Ho analizzato con la ragione, e tutto è rimasto teoria’. Anche nella clinica la paziente perde peso, e per l’internista che l’ha in carico la situazione diventa troppo esplosiva. All’inizio di dicembre si consulta un celebre psichiatra, che fa diagnosi di malinconia. A questo punto c’è un conflitto fra i vari medici sul tipo di trattamento indicato. L’analista consiglia l’uscita dalla clinica e la prosecuzione dell’analisi, l’internista e lo psichiatra sostengono una prosecuzione del ricovero, la paziente è sospesa nel mezzo, ‘prigioniera di una rete da cui non riesco a liberarmi’. La pausa natalizia viene usata dall’internista per un intervento deciso: proibisce la prosecuzione dell’analisi e consiglia il trasferimento alla Clinica Bellevue- che ha effettivamente luogo il 13/14 gennaio.
Si può riassumere in breve quanto avviene alla Bellevue. Ci resta 2 mesi e mezzo, viene indagata con cura, il marito resta con lei, annota sogni e espressioni in stato crepuscolare, si riaffida al medico. ‘Dimostra un particolare animosità nei riguardi della psicanalisi. Per contro il marito riferisce che la moglie si è fatta analizzare molto volentieri e che non si è ancora staccata del tutto dal (secondo) analista’. Per Binswanger si trattava soprattutto di giungere a una diagnosi definitiva. Egli chiese alla paziente e a suo marito di elaborare una anamnesi accurata. Il marito su richiesta del medico mette insieme una documentazione sull’argomento ‘Suicidio’. Il desiderio di morire percorre tutta la vita della paziente. Nella storia clinica Binswanger trascrive le annotazioni sui sogni. Lapidariamente osserva nel testo pubblicato:’Per motivi psicoterapeutici non ha avuto luogo una analisi dei sogni’.
Nel saggio di Binswanger si legge: ‘Peso all’uscita quasi identico a quello all’ingresso, cioè 47 kili e mezzo’. La cartella clinica originale documenta però qualcosa di diverso. all’ingresso la paziente pesava 53 kilogrammi. Venne pesata tutte le settimane, e per tre settimane il peso restò praticamente costante. Si ha poi una interruzione nella regolare serie di annotazioni in cartella, e il 24 marzo il peso risulta calato di 6 kilogrammi. ‘E come se nel frattempo sia capitato qualcosa, che ha tolto alla paziente le ultime energie. In effetti in questa giornata ha luogo un consulto con Bleuler ed un secondo psichiatra (tedesco). Così Binswanger riferisce dei motivi e degli antecedenti di questo consulto:
Di fronte al crescente pericolo di suicidio, non ci si poteva più assumere alla lunga la responsabilità di tenere la malata nel reparto aperto. Dovetti porre al marito l’alternativa o di dare il suo consenso al trasferimento della moglie nel reparto chiuso o di lasciare con lei la casa di cura. Il marito, persona assai intelligente, si rendeva perfettamente conto della situazione, ma dichiarò di poter dare il suo consenso soltanto se era possibile promettergli la guarigione o almeno un sostanziale miglioramento della moglie. Poiché, in base all’anamnesi e alle osservazioni da me condotte, avevo dovuto formulare la diagnosi di una psicosi schizofrenica ad andamento progressivo (Schizophrenia simplex), non potei dare al marito che ben poche speranze. (Se allora fosse già esistita la terpia di shock, avrebbe certamente offerto una momentanea via d’uscita da quel dilemma dilazionando in una certa misura l’esito finale, ma certo non avrebbe potuto affatto cambiarlo). Essendo poi chiaro che il dimettere la malata dalla casa di cura significava sicuramente il suo suicidio, dovetti consigliare al marito, in considerazione della sua responsabilità, di non fondarsi unicamente sul mio giudizio,- per quanto fossi sicuro del fatto mio- ma di ricorrere d un consulto a tre coll’intervento del prof. Bleuler e di uno psichiatra straniero, non aderente alla teoria di Bleuler e Kraepelin sulla schizofrenia. […] Risultato del consulto: entrambe gli specialisti condivono completamente la mia prognosi e ancor più radicalmente di me non ravvisano alcuna utilità nel tenere in clinica la malata. […] Tutti e tre siamo d’accordo nello stabilire che non si tratta una nevrosi coatta, né di una psicosi-maniaco-depressiva e che non è possibile alcun trattamento di sicura efficacia. Perveniamo pertanto alla conclusione di assecondare l’urgente desiderio della malata di esser dimessa.’
Il 30 marzo la paziente lascia la clinica e con il marito torna a casa. Per la prima volta da molti anni mangia tanto da sentirsi pacificata e sazia dopo l’assunzione del cibo. Fa una passeggiata con il marito, legge poesie d Rainer Maria Rilke, Theodor Storm, Johann Wolfgang von Goethe e Alfred Tennyson, la sera è in una disposizione d’animo festosa, scrive lettere d’addio e alla presenza del marito assume la dose mortale di veleno. Il mattino successivo è morta. ‘Apparve allora- come mai nella sua vita- quieta e felice e in pace con sé stessa’.
Come interpreta questo caso Ludwig Binswanger, come rappresenta sé stesso alla luce dell’analisi esistenziale?Binswanger non si contenta di portare alla luce la motivazione psicologica del suicidio: ‘L’analisi esistenziale non può fermarsi al giudizio psicologico secondo cui il motivo che rende comprensibile il suicidio di Ellen West sarebbe la sofferenza derivante dal suo tormento.[…] Considerandolo alla luce dell’analisi esistenziale, il suicidio di Ellen West si configura tanto come un ‘atto dell’arbitrio’ quanto come un evento necessario’. Entrambe le asserzioni si fondano sul fatto che la presenza [Dasein] nel caso di Ellen West era diventata matura per la sua morte, in altri termini che la morte, questa morte, costituiva il necessario adempimento del senso della vita proprio di questa presenza.’ ‘ Nella sua morte, con particolare pregnanza scorgiamo il senso esistenziale o più esattamente il controsenso della sua vita. E questo senso non era quello di essere sé stessa ma, al contrario, di non essere sé stessa.’




La ricezione del testo di Binswanger


Questo studio di Binswanger ha trovato un’eco ampia e controversa. Egli stesso l’ha visto come paradigmatico, e a questo modo di vedere si sono uniti parecchi aderenti all’analisi esistenziale. Helmut Thomä tratta il caso nel suo libro sulla anoressia e vi indaga lì la cosiddetta ‘svolta copernicana dell’analisi esistenziale’. Egli avanza una critica: con il postulato che l’analisi esistenziale si deve spingere, al di là del livello ‘ontico’ collegato a un paziente singolo, verso le strutture ‘ontologiche’ retrostanti, viene di fatto limitato il chiarimento della psicologia del conflitto. Trova degno di nota ‘il fatto che l’interpretazione di Binswanger del caso ‘Ellen West’ si poggia in primo luogo sulle produzione letterarie, poesie e diari della paziente.’
Parecchi esaltano in modo speciale la capacità di empatia mostrata da Binswanger. D’altra parte il saggio di Binswanger è stato criticato per avere minimizzato ovvero glorificato il suicidio della paziente. Carl Rogers esprime la propria ribellione contro il corso del trattamento, ma anche la sua speranza che con gli attuali mezzi psicoterapeutici si sarebbe potuto aiutare questa paziente. John T. Maltsberger parla di ‘suicidio permesso’ e discute l’odio nel controtranfert. Lester parla, a proposito di quanto compiutosi qui, di ‘psychic homicide’, omicidio mentale. . Dal punto di vista femminista si è dipinto il caso sotto il concetto di un diasturbo alimentare (anoressia nervosa o bulimia), e analizzato corrispondentemente la malattia come problema collegata ai ruoli sessuali. In questa tradizione, Liliane Studer vede Ellen West come una donna ‘che non vuole farsi controllare dalle rappresentazioni che i maschi della sua epoca hanno del ruolo della donna e di cosa può attendersi’, come una vittima ‘dello strapotere maschile’. Lamenta che la paziente stessa non si esprima in modo più evidente nel testo di Binswanger, e comprensibilnente deplora di non avere accesso alla documentazione clinica originale. Recentemente si è criticato il supposto ricorso da parte di Binswanger nelle sue storie cliniche a stereotipi razzisti, e lo si è pertanto accostato a filosofi e psichiatri vicini al nazismo.
Il caso è stato pure ripreso da poeti e scrittori di teatro. Adrienne Rich e Frank Bidard hanno pubblicato delle poesie, Kristine Hersch ha scritto una canzone su Ellen West, e alla Casa del Teatro di Vienna si sta rapprsentando un pezzo di Andreas Staudinger sul caso.
Parecchi si sono lamentati della non disponibilità della storia clinica originale, dalla quale ci si potrebbe aspettare una più grande autenticità, una più approfondita conoscenza della paziente e maggior vicinanza temporale agli avvenimenti. Ci si può quindi rallegrare del fatto che questa cartella clinica è ora a disposizione della ricerca scientifica.







2. La cartella clinica di Kreuzlingen



La cartella clinica, nell’Archivio della Casa di Cura Bellevue, consta di circa 23 elementi diversi:

- quattro pagine, accuratamente riempite a mano da Ludwig Binswanger, di modulario con anamnesi famigliare e personale ed esame obiettivo;
-una suddivisione per giornate di degenza e una tabella del peso;
-un manoscritto della paziente, di 2 pagine, incompiuto, ‘Racconti sull’origine del mondo’(1908);
-8 lettere del marito, 2 della madre e 8 di altri medici;
Completamente assenti sono note di Binswanger, una descrizione del decorso del ricovero o una epicrisi.
Il ‘primo analista’, interrogato nel 1943 da Binswanger sul conto della paziente (si trattava di Viktor von Gebsattel) si rammentò immediatamente di lei, sebbene non avesse conservato alcuna annotazione. La sua lettera, scritta oltre 20 anni dopo il trattamento psicanalitico, dà una valutazione a posteriori, fredda e distanziata, e non dedica nemmeno una parola alla prematura conclusione dell’analisi. Egli lasciò libero Binswanger di fare o non fare il suo nome.
Più significativo, perché più vicino agli avvenimenti, il resoconto sulla situazione della paziente indirizzato il 13-1-1921 a Binswanger dal ‘secondo analista’, Hans von Hattingberg:



‘[intestazione a stampa]
Dr. v.Hattingberg
Specialista in Psicoterapia,
Disturbi Nervosi e dell’Umore
Ainillerstr. 32/II. Tel. 32822

Caro Collega,
Le invio un po’ ‚nolens volens’ una paziente, la Sig.ra Ellen West, che nel frattempo Le è stata indirizzata dal Consigliere Segreto Romberg, un caso che mi sta straordinariamente a cuore, dato che la Sig.ra West è una vecchia amica della mia famiglia, e mi è personalmente vicina. ‘Nolens’ perché la prematura interruzione dell’analisi è stata determinata da una combinata opposizione del marito, del Cons. Segreto Romberg, di Kraepelin ( il quale ha posto come diagnosi un disturbo maniaco-depressivo ovvero malinconia- su questo di più successivamente)- ma di base per via della resistenza della paziente stessa, la cui non comune intelligenza presto Lei imparerà a conoscere. Ho motivi molto validi per sostenere che si tratta qui di una resistenza transferale- la paziente non sapeva fare i conti con il transfert, già da tempo noto, chiaramente riconoscibile nei sogni e nella vita di tutti i giorni. ‘Volens’ perché a nessuno preferirei affidarla piuttosto che a Lei.
Ho pertanto subito dato il mio consenso, quando- al mio ritorno da una vacanza natalizia di 10 giorni- mi fu fatta la ‘proposta’ di interrompere l’analisi e avere invece un ricovero in una clinica- nella Sua clinica, come Romberg aveva proposto alla paziente. In effetti la paziente, che controlla totalmente il marito (come pure del resto Romberg ed i suoi Assistenti), senza naturalmente esserne consapevole, aveva già preso la decisione quando mi sottopose la proposta.
[Segue una esaustiva illustrazione della storia clinica.]
All’inizio di novembre, dopo che nel frattempo si era ottenuto un certo miglioramento, vi furono in presenza del marito ripetuti tentativi suicidari, cui si aggiunse un lieve stato crepuscolare isterico, in cui si scagliò furiosa contro l’analisi e contro di me, questo tipo subdolo che voleva spingerla a continuare questo schifoso simulacro di vita. […]
Il transfert fu allora così evidente che una volta in modo del tutto improvviso lei mi si sedette in grembo e subito mi diede un bacio,- il che era estremamente inusuale, non ostante il nostro amichevole rapporto (non ho bisogno di chiederLe di mantenere il silenzio su questo episodio-). Dall’inizio di dicembre l’analisi cominciò ad arenarsi- ci avvicinavamo sempre più al complesso paterno, che però si potè trattare solo perifericamente. Chiarì a sé stessa che le sua idea ossessiva esprimeva il rifiuto del tipo paterno (=ebraico)- non sono giunto fino alla scoperta del desiderio incestuoso- anche dai sogni non si potè trovare alcun aggancio. Poco tempo prima delle mie vacanze natalizie cominciò a diventare più depressa, e, come ho scoperto più tardi, a sostenere nella clinica che l’analisi la sconvolgeva. L’ho vista l’ultima volta prima delle vacanze natalizie quando con lei e suo marito sono andato a un incontro in cui parlava Stark. Si sedette direttamente dietro di me, e vistosamente quasi mi si incollò addosso, cosa che temo il marito abbia notato.
Al mio ritorno, la decisione come ho detto era già presa. Venne la prima volta con il marito nell’ora di analisi, e gli chiese di rimanere presente, per quanto lui volesse ritirarsi.- La volta successiva, venuta da sola, le sue prime parole furono che avrebbe voluto appoggiare la testa sulle mie spalle, e che io le dicessi ‘Ellen, bambina’.
Tutti questi comportamenti li ho interpretati come resistenza transferale. Lei ha accolto le mie parole senza reagire- ‘Sì- le cose potrebbero esser viste così’.
Dall’inizio alla fine comunque non mi sono contrapposto frontalmente al suo progetto, non ostante questa interpretazione, dato che avrei dovuto combattere contro un esercito formidabile (Kraepelin, Romberg, il suo Assistente, il medico di famiglia). Quale ruolo suo marito abbia giocato in questo non mi è del tutto chiaro. La mia sensazione è che senza saperlo egli fosse molto a favore del cambiamento- già la sera da Stark rende comprensibile la cosa. Il ruolo del marito porrà naturalmente dei problemi anche a Lei. A suo tempo io non sono riuscito a tenerlo fuori, e adesso vorrei averlo fatto. Naturalmente non Le suggerisco nulla- ma io ritengo che non ostante la sua totale dipendenza dalla paziente abbia una certa influenza- nel senso di rafforzare in modo inconsapevole le oscillazioni depressive. In ogni caso egli mi ha non una volta soltanto ma più volte posto la domanda se ritenevo possibile una guarigione- se non sarebbe stato meglio dare del veleno alla paziente. Si è sempre interamente sottomesso a lei durante le fasi di depressione grave- anche se è assolutamente convinto che lei non l’abbia affatto notato. Lei d’altra parte vede dentro con molta chiarezza a ‘Karl, quel buon ragazzo’, e sa pure con certezza che egli dubita della guarigione.
[…]
La paziente viene da Lei certo non nell’attesa di continuare la psicanalisi.- Se per caso Lei dovesse cominciarne una, potrei pregare di non scordare che non ha mai voluto saper nulla del transfert, come pure nulla del mio punto di vista riguardo al marito.- Qui la nostra vecchia conoscenza può essere stata d’intralcio. La Sig.ra W. mi ha visitato ancora ieri un’altra volta- voleva venire tutti i giorni, ma Romberg non lo permette- con le parole: tornerò solo da guarita- con lei non posso essere malata- e allora faremo insieme qualcosa di piacevole. Le ho, caro Collega, illustrato così dettagliatamente le mie osservazioni perché il caso mi sta molto a cuore. Più che del problema di prestigio rispetto a Romberg e Kraepelin mi preoccupo del successo finale della cura- si deve poter aiutare questa donna.- Come Lei lo farà mi è indifferente- se dopo qualche mese me la rimanderà, o se continuerà Lei l’analisi fino alla conclusione- la paziente deve guarire.
[…] In ogni caso stia bene, e scriva presto al Suo devoto

Hattingberg’


La lettera è un documento notevole, nel suo documentare in modo terrificantemente chiaro il naufragio di un trattamento analitico, e nel farne sospettare il motivo: un transfert sessualizzato non riesce a venire elaborato nella relazione terapeutica, ma viene portato ed agito all’esterno. La paziente non si sente davvero accolta e sostenuta dall’analista: ‘Tornerò solo da guarita- con lei non posso essere malata- e allora faremo insieme qualcosa di piacevole’.
La storia clinica di Kreuzlingen contiene oltre alle lettere dei medici alcune lettere del marito, in cui egli riferisce in modo dettagliato degli ultimi giorni di vita della paziente e delle circostanze del suicidio (vedi sotto). Vi sono pure lettere successive fra Karl West e Ludwig Binswanger. Karl mantenne per molti anni il contato con la Bellevue, di tanto in tanto fece vista a Binswanger, chiese la sua mediazione per una residenza per le vacanze e gli inviò auguri per i compleanni importanti.





I diari di Ludwig Binswanger


Ci si può chiedere se Ludwig Binwanger ha menzionato la paziente nei suoi diari, che si trovano nell’Archivio della famiglia Binswanger. Si scopre però che i diari danno solo scarsi cenni sul trattamento di Ellen West nel 1921. Riproduciamo qui i brani in cui vengono nominati lei od il marito:

‘7.2.1921:
Con Hertha Variazioni Goldberg. Il Dr. West, distinto violoncellista, sonata di Brahms in mi-minore, Beethoven opera 5 n. 1.-

17.2.1921:
Fatto musica con il Dr. West, la Sig.ra G [un’altra paziente].

24.3.1921:
Consulto Hoche- Bleuler incontra West.

30.3.1921:
West e Signora partiti. Il caso West e il suicidio del Sig. L. [marito di una ricoverata] con la comunicazione alla moglie gli avvenimenti più coinvolgenti di questo periodo.’


Non viene menzionata la morte di Ellen West.
In modo più chiaro si può seguire dai diari il processo di elaborazione del saggio di Binswanger.


’12.5.1942:
Al mattino visita generale, al pomeriggio a Münsterlingen, dove Kuhn ha presentato un interessantissimo caso di madre e figlio. Acqua per il mio mulino, dato che la madre per lunghi anni mostrò solo ‘difetti morali’ (menzogne, prodigalità, alcool) e solo nel corso di due decenni ebbe un indementimento schizofrenico. Già da tempo ho in simili ‘difetti’ in un carattere per il resto senza disturbi, anzi normalissimo, riconosciuto una schizofrenia iniziale (simile il caso West, con l’incontrollabile avidità di cibo, solo che lei soffriva enormemente di questa situazione).

17.3.1943:
[…] per quanto io adesso lavori molto (storie cliniche e schizofrenia). Ripreso con grande interesse il caso West.



1.4.1943:
Sono tutto dedito a studiare le storie cliniche. Dopo le schizofrenie paranoidi e catatoniche ho approfondito anche quelle poliforme e le nevrosi ossessive. Ne imparo molto.

11.5.1943:
Cominciato a scrivere il caso Emma [sic] West.

22.5.1943:
[…] proseguo il caso […] (Esther [sic] West), mi interessa molto. Ho un grande desiderio di leggere, p.e. ho letto ultimamente:
Daudet, La petite chose, lettres de m[on] m[oulin].
George Sand, La petite Fadette, tutto incantevole a modo suo.
[Pierre] Loti, Mon frère Yves, mentre nella biblioteca di Bobis, che ora ho accolto presso di me.

15.6.1943:
Lavorato molto al caso Ellen West e letto drammi storici.

1.8.1943:
Lavoro al mio Ellen West. Attraverso la finestra aperta giunge il canto di ‘Ruhst du mein Vaterland’, rane gracidano, è terribilmente caldo. Cosa ci porterà il prossimo futuro?

30.8.1943:
[Vacanze:] La prima settimana passata molto in fretta . Tempo mutevole, fulmini e poi più bello. Non fatto grossi giri. Lavorato un po’, soprattutto letteratura per Ellen West. Letto molto l’Odissea, la mia unica lettura, anche se è la terza volta che la leggo passo da uno stupore e una meraviglia all’altra.

2.9.1943:
Ieri a Scheidegg in ferrovia e ritorno a piedi. Stupendo cielo senza nuvole.- In questi giorni molto lavorato a Ellen West (la temporalità).

11.9.1943:
Non andato, troppo stanco per andare, quindi felicemente terminato la sezione ‘Analisi esistenziale e psicanalisi’, estremamente difficile.

15.9.1943:
Lavorato martedì, iniziato la parte psichiatrica di Ellen West, l’ultima parte!
2.10.1943:
Sto scrivendo la mia Ellen West, sopra di me tutto il tempo rombo di aereoplani e forte fuoco antiaereo da Friedrichshafen.

16.11.1943:
Terminato lo studio su Ellen West dopo molteplici rielaborazioni e rimaneggiamenti. Probabilmente adesso toccherà al caso Zünd. Riletto il Fedone, adesso passo allo sconvolgente Carmide.

28.3.1943:
Passeggiata con Emil [Staiger] alla Thur. La sua critica di Ellen West (non aggiungere nulla al libro, evitare Sé, immagine del mondo). ‘E l’unico da cui posso apprendere per le mie opere.

14.9.1956:
Terminato con fretta ed eccitazione la premessa ad Ellen West.’


Da questi brani di diario si vede come Binswanger, stimolato da Kuhn, a partire del 1941 si occupò dei casi in grado di illustrare la sua concezione della schizofrenia. Si vede in quali letture e in quali avvenimenti politici del 1943 sia inserita l’origine del caso. Si notano pure le diverse oscillazioni di Binswanger nella scelta dello pseudonimo. Il cognome fu presto fissato- pensava forse a Rebecca West, il personaggio di ‘Rosmersholm’ di Ibsen, da lui tanto ben conosciuto?- ma nel nome passò da Emma e Esther a Ellen.
Anche i documenti di Kreuzlingen lasciano comunque aperte parecchie domande. Quale materiale utilizzò Binswanger, a parte quello che si trovava nelle proprie cartelle cliniche? Nell’anno successivo alla morte della moglie Karl West aveva messo insieme un libro con brani di lettere e diari, ed esso venne per alcune settimane nel 1923 lasciato a Ludwig Binswanger dai genitori della paziente, in vacanza nel Ticino. Binswanger deve averne fatto delle trascrizioni, da lui successivamente utilizzate per la sua pubblicazione, ma non si sa dove queste si trovino. Potrebbe forse quel libro, potrebbero le lettere ed i diari essere da qualche parte rimasti nell’originale, e come si potrebbe entrarne in possesso? In ogni caso sembrava che il marito fosse riuscito a emigare per tempo dalla Germania nazista.








3. Il fondo postumo di Ellen e Karl West



‘E stato in effetti possibile riuscire contattare un figlio del marito. Davanti alle nostre richieste, questi ha risposto di sapere del caso Ellen West; suo padre aveva preservato alcuni documenti, li avrebbe cercati nella propria vecchia abitazione, e avrebbe pure interrogato sull’argomento la propria sorella, attualmente oltremare. Dopo alcuni mesi giunse la risposta che alcuni documenti erano andati persi a causa di un allagamento; aveva comunque trovato qualcosa nella propria cantina; suo padre aveva in effetti prima della morte disposto che alcuni documenti fossero distrutti. Egli comunque aveva deciso assieme alla sorella di non distruggere documenti di interesse scientifico. Dopo alcuni altri mesi potei fargli visita, e quello che mi mostrò fu stupefacente.

- Un libro rilegato con brani di lettere e diari della paziente, di 552 pagine scritte a macchina; questo libro era stato messo insieme dal marito nell’anno dopo la morte della paziente, e era stato rilegato in poche copie.

- Una storia della malattia di Ellen West, redatta dal marito durante il soggiorno a Kreuzlingen, 44 pagine scritte a macchina, incluso un breve testo autobiografico della paziente dal titolo ‘Storia di una nevrosi’, scritto nel dicembre 1920.

- Una cartella contenente lettere di condoglianza, fra cui quella di Binswanger.

- Diari della paziente e del marito risalenti al periodo della cura, che rappresentano gli avvenimenti dal punto di vista di allora (spesso giorno per giorno), e ripoducono i sogni della paziente, i suoi tentativi di interpretazione e quelli dell’analista, oltre alle reazioni ad ogni seduta di analisi, sia dal punto di vista intellettuale che emotivo.

Questi documenti sono completati da un centinaio di lettere della paziente al marito, del periodo in cui lui si trovava lontano, al tempo della prima analisi e nel decorso di questa, e dell’inizio della seconda analisi (lettere citate da lui nel suo libro, ma ‘lasciate da parte perché troppo personali’, come scrive nella prefazione), e inoltre dal testamento e dalla lettera d’addio, testimonianze, blocchi d’appunti e quaderni di ricette, il passaporto dell’anno della cura, fotografie e infine una cassetta di legno con l’immagine della paziente nel letto di morte, un disegno a carbone di mano di un’amica. Questa cassetta era rimasta tutto il tempo in sala, sui mobili che il fratello della paziente aveva progettato, realizzata nello stesso legno della stanza da letto comune. Così questa donna era stata in un certo modo sempre presente, non ha mai lasciato liberi non solo il marito ma anche gli altri congiunti.
Il figlio del marito, il cui nome deve naturalmente rimanere celato, si è deciso dato il grande significato del caso a mettere a disposizione per l’elaborazione scientifica la più grande parte di questo materiale.A lui va per questo la più grande gratitudine. I documenti sono stati esaminati nell’Istituto per la Storia della Medicina di Tubinga, e brani dei manoscritti sono stati trascritti. I materiali sono stati successivamnete ceduti all’Archivio dell’Università di Tubinga. Il loro utilizzo è regolato da un accordo con il donatore e sottoposto a condizioni severe. Bisogna naturalmente difendere con impegno l’anonimità della paziente e della famiglia. Un consigliere scientifico- atualmente io stesso- deve personalmente convincersi della serietà di una richiesta di utilizzo e dare il proprio benestare. I documenti sono stati elaborati dal punto di vista archivistico nell’Archivio Universitario da parte del Dr. J. Wischnath e della Sig.ra I. Bauer-Klöden; si è preparato un indice, e l’insieme è stato inserito nel patrimonio dell’Archivio con la dicitura UAT 702. Si sta preparando un’edizione in forma monografica delle porzioni più significative del materiale.
Si tratta di un materiale unico: viene documentato dal punto di vista della paziente il corso di tre trattamenti, e questa visuale può ora essere paragonata con la prospettiva dei terapeuti. Esistono sicuramente già alcuni resoconti di pazienti sulla propria analisi, ma la maggior parte a posteriori e la maggior parte nel caso di terapie riuscite. Resoconti paralleli di paziente e terapeuta sono estremamente rari, e fino ad ora non si riferiscono a terapie fallite, che d’altra parte sarebbero in verità quanto mai istruttive.

I documenti di Ellen West rendono più chiari di quanto conosciuto in precedenza la preistoria della malattia e i tentativi della paziente e del marito di lei di cercare consigli medici e aiuto terapeutico. Lettere, diari e poesie mostrano Ellen West non solo come una malata, ma anche come una donna con una spumeggiante gioia di vivere; sicuramente le poesie evidenziano d’altra parte anche le oscillazioni estreme del tono dell’umore.
Esemplari sono tre poesie degli anni dal 1906 al 1909, qui riprodotte.



‘Ottobre 1906

La gioia di vivere mi fa desiderare di ridere e cantare!
Il sangue mi corre nelle vene, lo sento battere e pulsare!
Il fresco vento selvaggio mi incita alla battaglia ed alla lotta,
e sono piena di desiderio e di amore della vita!

L’amore della vita, e del mondo, e del sole in alto!
Di tutta la bellezza che contengono, e di tutta la meravigliosa gioia!
La gioia di vagare miglia e miglia, oltre boschi e campi e montagne,
la gioia di sentire la forza della vita, la folle gioia della vita!’
[in inglese nell’originale]






‘Febbraio 1907


Tempeste di primavera.
Ah, le prime tempeste di primavera
infuriano per il mondo.
Selvaggiamente lacerate sono le nuvole
e cade la pioggia!

E con le braccia spalancate
esulto,
la mia giovane mente è sopraffatta
di piacere e gioia!

Tu indugi? E preferisci restare
nella tomba della casa?
Pazza, non senti nell’aria
il soffio della primavera?’





‘Febbraio 1909


I cattivi pensieri

Da sola non oso più
andare nel bosco,
poiché dietro ad ogni albero
stanno gli spiriti malvagi.

Poiché dietro ad ogni cespuglio
mi osserva un coboldo selvaggio,
e fra i rami verdi
ride un demonio.

E quando mi scorgono
così sola, senza nessuno,
allora mi rinchiudono da tutte le parti
schernendomi.

Poi mi vengono addosso selvaggiamente
e mi prendono per il cuore,
e ridono e prendono in giro
i miei lamenti ed il mio dolore.

‘Non sai forse’ dicono,
‘Chi siamo stati?
Non sempre spiriti malvagi,
non sempre prole dell’inferno.

Un tempo eravamo i tuoi pensieri,
le tue speranze, orgogliose e pure!
Ma adesso dove sono i tuoi progetti,
i tuoi sogni?

Sono scomparsi tutti,
avvizziti in vento e tempesta,
tu stessa diventata un niente,
un miserabile verme.

Per questo dobbiamo svanire
via nella notte nera,
tanto cupi ci ha reso la maledizione
che ti ha colpito.

Quando cerchi quiete, pace,
ti strisciamo attorno,
vogliamo vendicarci
con le nostra urla di disprezzo!

E se cerchi felicità, gioia,
noi ci mettiamo in mezzo,
accusando, schernendo
saremo sempre insieme a te!’



Si possono avere opinioni diverse sulla qualità letteraria di queste poesie. In ogni caso sono composte con abilità, ed è innegabile che qui una giovane dotata sa esprimere e condensare plasticamente con parole il suo mondo interno.










La prima analisi con Victor Emil von Gebsattel
(dal febbraio all’agosto 1920)


Chi era Victor von Gebsattel? Passie traccia uno schizzo di biografia, dal quale può citarsi quanto segue, la parte più rilevante per questo contesto:

Victor Emil barone von Gebsattel nacque a Monaco il 2 aprile 1883. Nel 1900 cominciò lo studio di Giurisprudenza a Monaco, ma lo interruppe poco dopo, per studiare Psicologia e Filosofia con Theodor Lipps, sempre a Monaco. Nel 1909 si laureò con von Lipps con una tesi ‘Sulla psicologia delle irritazioni delle emozioni’. In questo periodo Alezander Pfänder lo mise in contato con il gruppo di fenomenologi di Monaco attorno a Max Scheler; a Berlino incontrò Wilhelm Dilthey.
Dopo la laurea si occupò di storia dell’arte e poi di filosofia (fra gli altri con Henri Bergson) a Parigi, dove assieme a Matisse e Rilke visse nella casa di Rodin.Alla fine del 1910 studiò di nuovo Medicina a Monaco. Poco più tardi al Congresso Psicanalitico di Weimar fece conoscenza con Sigmund Freud e Lou Andreas-Salomè. Nel 1915 conseguì a Monaco l’abilitazione in Medicina, e dal 1915 al 1920 trascorse un periodo come assistente nella Clinica Psichiatrica di Monaco con Kraepelin, e conseguì lì la specializzazione in Medicina nel 1919 con uno studio sulle ‘Forme atipiche di tubercolosi’. Dal 1920 al 1924 lavorò privatamente, si sottopose ad una analisi didattica con Hanns Sachs e assunse per un anno la direzione dell’Ospedale Westend di Berlino. Nel 1926 fondò la clinica privata Schloss Fürstenberg nel Meclenburgo, presso Berlino, di cui era anche direttore. Nel ‘circolo di Scheler’ a Monaco incontrò nel 1927 per la prima volta Viktor von Weizsäcker, con cui rimase per lungo tempo in contatto. La sua attività di direttore della clinica terminò allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale nel 1939, quando l’istituto fu trasformato in ospedale militare. A quel punto si dedicò nuovamente all’attività privata, e operò pure dal 1939 al 1943 come analista didatta all’Istituto Centrale di Psicoterapia e Psicologia del Profondo di Berlino. La sua casa venne bombardata a Berlino alla fine del 1943, e nel 1944 si trasferì presso Vienna dove assunse la direzione di un istituto psichiatrico.

Quando Ellen West iniziò una terapia con lui, nel febbraio 1920, Gebsattel era dunque uno psichiatra laureato in Psicologia con Lipps, e con una formazione filosofica, aveva lavorato come assistente per cinque anni nella Clinica Psichiatrica Universitaria di Kraepelin a Monaco, e stava costruendosi una carriera come neurologo ben assestato. Lo si sarebbe potuto definire ‘un analista selvaggio’: poco prima della Prima Guerra Mondiale si era con successo dedicato alla psicanalisi appresa da autodidatta, avendo in cura fra gli altri la scultrice Clara Rilke, la moglie separata di Rainer Maria Rilke.
Fu un’amica artista a fare da intermediaria fra Ellen West e Gebsattel. Ci fu prima uno scambio di lettere, alla fine del dicembre 1919 ci fu un incontro a Berlino, dove Gebsattel si trattenne brevemente, e allora ci si accordò che Ellen sarebbe andata a Monaco per un trattamento psicanalitico.
Ora lasciamo parlare la paziente con un paio di lettere del periodo della prima analisi:


‘Ai genitori
Monaco, 8 febbraio 1920
Siamo a Monaco da due giorni […]
La mia terapia con il Dr. G. è appena iniziata. ‘E rimasta l’impressione simpatica, che avevo avuto di lui a Berlino. Ripongo la più grande speranza nel suo metodo; ma so di dover avere molta pazienza. I nervi non guariscono dall’oggi al domani. Ma l’aria di Monaco e il meraviglioso clima sono i grati migliori aiuti per una cura…’



‘Ai genitori
Monaco, 11 marzo 1920
G. è un uomo meraviglioso! Non mi sono mai sentita capita così completamente da un medico. Se c’è qualcuno che può guarirmi, è lui. Voglio dire: veramente guarita, dall’interno all’esterno. Esternamente sono già di fatto migliorata da quando sono qui. Ma da qualche parte nel profondo della mia mente covano sempre gli stupidi pensieri malati, e so di non poter guarire in modo intero e completo e durevole (come tanto vorrei succedesse adesso!) finchè non li avrò estirpati del tutto. Si potrebbe pensare che ciò sia semplice, dato che ora io ho la conoscenza. Ma è così difficile, e i nervi sono più forti della mia buona volontà, non si lasciano controllare e sottomettere, come una cosa concreta. Ma credo che con il tempo dovrà succedere. Ci vorrà solo molto, ed io vorrei continuare fino in fondo la ‘lotta’, e non smettere una volta giunta a metà.’





‘A Emma
Monaco, 19 marzo 1920
[…]
Per quanto io sia qui ormai da 5 settimane, ho avuto solo 14 giorni di psicanalisi, dato che G. si è ammalato, si è preso influenza e pleurite, e adesso è in convalescenza a Bernau sullo Chiemsee. Sarà di nuovo qui fra 14 giorni.- ‘E un peccato, non è vero, che io tanto a lungo debba stare senza terapia… Ma se è necessario, anche un mese di attesa fa lo stesso.
Dopo il breve inizio non posso dare assolutamente nessuna valutazione. Ho solo visto due cose: la prima, che la psicanalisi è qualcosa di molto interessante, e la seconda, che G. è una persona molto, molto intelligente, simpatica e fine. Se l’analisi può aiutarmi, non lo so; anche G. non può promettermi nulla. Io ho grossi dubbi; poiché mi sento malata fino alle radici del mio essere. Ma ho pure il penetrante desiderio di provarla: perché se c’è ancora qualcosa che può guarirmi è l’analisi.
Dal punto di vista fisico e mentale mi va molto meglio qui a Monaco che non a casa. Godo la vita che conduco qui- senza doveri, senza faccende domestiche- è eccitante. Karl si è preso una vacanza fino al primo di aprile, ed a noi sembra di essere qui come in un secondo viaggio di nozze. Stiamo in un albergo, quasi ogni sera andiamo a teatro, ci aggiriamo di giorno per i musei, nelle strade e nelle pasticcerie. Qui non ho certo il bisogno di andare a letto alle 6!
So che G. h ragione a dire che tutto questo sarebbe solo un sonnifero, e non potrebbe aiutarmi in modo stabile. Io stessa sento benissimo che il male sopravvive all’interno. La maledetta scheggia continua a stare nell’occhio (- devo sempre ripensare alla tua immagine, esprime così esattamente la situazione). Se l’analisi deve aiutarmi, durerà molto a lungo. Ma per me è indifferente, voglio diventare sana e ragionevole e normale. Altrimenti tutta la mia vita futura mi pare orribile e senza senso. Ogni sviluppo, ogni senso dell’essere scompare, quando si è posseduti da un’idea malata, che è più forte della ragione e della buona volontà.
[…]

Fra la vecchia gente sono di nuovo andata a trovare gli H[attingberg]. Pure lui fa psicanalisi. Tu ti fideresti di lui?…
[…] ‘




‘Ai genitori
Monaco, 3 Aprile, 1920
[…]
Il Dr. G. è tornato da 8 giorni, e di nuovo vado da lui giornalmente. Posso solo dire sempre la stessa cosa: sono entusiasta di lui e del suo modo di procedere, il suo trattamento è senza fine benefico, e spero e credo che mi aiuterà. Ma devo aver pazienza, e non mi è sempre facile. Fra le altre cose, non secondario il fatto di sapere di non essere l’unica ‘chiamata’ con lui. Vorrei dire a tutti voi che mi avete cara: ‘Perdonatemi, -e abbiate pazienza con me’. Certo nelle cose di nervi si sente che si è in qualche modo responsabili per le proprie debolezze. Non è come con una frattura o una malattia fisica- con la quale uno non può farci niente. E nemmeno come nelle malattie mentali, poichè lì non si è consapevoli della propria malattia. Ma qui si sa che si tratta di stupidaggini, che impediscono di essere completamente a posto e sani, e ci si vergogna davanti a sè stessi ed ai propri cari di non sapere semplicemente cancellarle. ci si vergogna di non raggiungere rapidamente la meta, quando si ha tutto quello che sarebbe necessario. Il buon medico, la terapia sistematica, tutta la mia vita qui impostata su tranquillità e comodità: per la pura gratitudine dovrei guarire completamente dall’oggi al domani. Ma le cose procedono solo lentamente, passo dopo passo. E spesso è come se dopo due buoni passi in avanti io ne torni indietro altrettanti. E devo pregarvi con tutto il cuore: abbiate pazienza con me. […] ‘




‘A Karl, 8.4.1920
E solo della cosa più importante, la psicanalisi, finora non ho detto quasi niente. ‘E notevole quanto sia difficile per me parlarne. E nonostante ciò essa sta al centro, e tutto il resto della vita per me ora è solo un’aggiunta, del rumore. Ora sono giunta a un punto critico. L’ha ammesso G. stesso oggi: si tratta di una questione esistenziale. Cos’è più forte? La mia cosciente volontà di vivere, di essere sana,- o le potenze inconsce dentro di me, che mi spingono all’annientamento? Troverò la giusta via? Adesso essa è bloccata. Me ne ritraggo –inconsciamente- con tutte le forze. Lo avverto io stessa, ma non riesco a cambiare le cose.’




‘A Karl, 10.4.1920
L’analisi in questo momento è esasperante! Ogni giorno di nuovo ho la sensazione di non fare nessun passo in avanti, di stare davanti a un muro, che non è destinato a cadere, ma deve cadere, perchè altrimenti non ci sarà nessun miglioramento per me. Questa è la cosa terribile: adesso vedo che senza analisi (senza una analisi completata) non potrò guarire.’




‘A Karl
Monaco, 2 maggio 1920.

In quest’ultimo periodo ho spesso avuto la sensazione di avvertire un piccolo progresso. Le ore nelle quali provavo speranza erano più frequenti e ritornavano più spesso che al solito. Non che non vi fossero momenti di depressione; ma sempre ricomparivano la speranza e il coraggio, e soprattutto un bruciante amore per la vita. La cosa orribile è che queste sensazioni restavano e restano sempre pure emozioni: le mie azioni e i miei desideri non ne vengono influenzati. L’angoscia di diventare più grassa resta immutata al centro di tutto; i miei pensieri si occupano esclusivamente del mio corpo, del cibo, dei lassativi. E sebbene io nell’analisi riconosca in modo sempre più evidente da che risibili spinte istintuali quest’idea malata è stata suscitata, riesco tanto poco quanto prima a trovare il modo di saltarne fuori. Sono ormai da tre mesi qui, Pitt. Quanto dovrà durare? ‘E un cammino attraverso sabbia profonda, instabile: un passo avanti, due indietro. E che ora io veda comparire di tanto in tanto all’orizzonte la favolosa, dolce oasi nel deserto, che io stessa mi sono creata, rende solo più pesante la strada. A che serve? Resta un miraggio, e scompare di nuovo. Era più facile prima, quando attorno a me c’era solo grigio su grigio. Come se non volessi nient’altro che essere malata, e starmene ad A. a letto. Ora vorrei essere sana,- ma non voglio pagarne il prezzo… Spesso sono completamente stremata per il conflitto che non finisce mai, e torno disperata da Gebsattel a casa con la consapevolezza che lui può darmi la conoscenza, ma non la guarigione.- E la nuova gioia di vivere?- dirai. Ah Pitt, temo che non sia nient’altro che l’effetto della primavera, del sole, dei fiori…’



Fino all’estate si continua con impressioni ugualmente mutevoli. All’inizio di agosto si ha invece una svolta drammatica:


‘A Karl, 4.8.1920

[…] oltre a ciò Gebsattel oggi ha detto e dell’altro, che mi ha molto scosso. ‘E quasi impossibile scriverne; metto tutto da parte fino al tuo arrivo. Ora cercherò semplicemente di dirti più o meno di cosa si tratta, perché tu possa fartene un’idea. Al momento Gebsattel fa da sé cose che forse gli renderanno impossibile continuare l’analisi. Non ha perduto la fiducia nell’analisi, ma ritiene che essa non possa essere l’ultima risposta, l’ultima soluzione. Proprio tramite il lavoro con me gli è divenuto più chiaro che al di là dell’analisi ci deve essere una strada che ci porti più vicino alla verità fondamentale della vita. ‘E entrato in contatto con uomini che cercano questa strada, e che in parte già la percorrono; e si sente tramite il loro influsso scosso e turbato. Nella sua vita è comparso un giovane, una specie di ‘predicatore vagante’, un Cristo; e egli si vede –come al tempo in cui iniziò l’analisi- davanti a nuove decisioni . Tutto questo me l’ha detto oggi; continuerà a curarmi finchè ne avrà la capacità interiore. Se verrà un giorno in cui egli non vi riuscirà più- allora dovrà interrompere. Allora mi passerà ad un altro analista,- o forse potrà farsi accompagnare da me nel suo nuovo cammino?’




Chi era questo predicatore vagante? Si tratta di un ex insegnante elementare dal nome di Leonhard Stark, nato nel 1894 nel Palatinato Superiore, che comparve dopo la prima Guerra Mondiale dapprima come adepto di Louis Häusser, e poi dopo il 1920- all’inizio a Monaco- in prima persona- con discorsi di più ore su Cristo, Spartaco, il problema ebraico e quello sessuale; sviluppando teorie estremamente astruse, estremamenmente idiosincrasiche e evidentemente deliranti su religione e sessualità, suscitando un massicicio interesse pubblico. Come esempio possiamo qui riprodurre due piccoli brani suoi, in cui propugna una specie di teoria della bisessualità, che può avere suscitato l’interesse di Ellen West.

‘L’uomo totale non ha più bisogno di una donna per completarsi. Porta dentro di sé la propria donna- il momento dell’accettazione nella Volontà Eterna.’

‘Forte voglio la donna. Forte voglio l’uomo dentro di te. Poiché solamente quando nell’uomo c’è un uomo forte può esserci in lui anche una donna forte- e viceversa.’

Come fu che Gebsattel si lasciò tanto impressionare da quest’uomo è per il momento scarsamente comprensibile. Un collega analista di Monaco lo mise in guardia inutilmente:

‘Il delirio di grandezza di Stark mi sembra non sconfiggibile; egli vive nel proprio ordine, nella propria verità, che l’autismo ha creato e difende: là tutto è armonico, compiuto, non vi hanno accesso la vita e gli uomini con i loro problemi, sofferenze e sforzi, là c’è questa finta soluzione- nell’annullamento.’


Ellen West riferì a Karl il 9.8.1920:

‘Continuo a andare ogni giorno da Gebsattel, ma non facciamo analisi: parliamo delle cose nuove che tanto lo hanno impressionato da buttarlo fuori dai suoi binari,- e che anche su di me fanno un grosso effetto. Un effetto molto più grande di quello avuto dell’analisi fino a questo punto. Chi sa cosa può derivarne? Forse assolutamente niente. Forse tornerò all’analisi, o piuttosto: forse ci rimango, ma con un altro analista […]
L’analisi scompone, tira via un pezzo dopo l’altro, e vede nei movimenti istintuali dell’Inconscio qualcosa di negativo, che deve essere superato. Per esempio nella ricerca di potere vede solo un difetto. Il nuovo cristianesimo lega e mischia assieme, e non è impossibile che proprio nel mio desiderio di liberarmi dai limiti borghesi stia qualcosa di buono. Non potrebbe forse essere possibile più facilmente superare la mia disgustosa malattia con un cammino postivo che non con uno negativo?’

L’analista ora fa da intermediario per incontri fra la paziente e Leonhard Stark. Una decina di volte va da lui, è impressionata, ma rapidamente nuovamente delusa. Anche questi colloqui non servono a nulla. Il 16 agosto scrive alla madre:

‘Adesso voglio vedere che effetto avrà su di me un periodo senza cure mediche. Mi sembra del tutto giusto dopo una cura di cinque mesi fare una pausa. […] ‘E una fortuna che ora Karl sia qui, e che noi possiamo valutare tutto insieme. Ieri è andato un’altra volta dal Dr. G. e gli ha parlato. G. ci ha consigliato un paio di medici che potrebbero nuovamente prendermi in cura, se fra un po’ trovassimo che è la cosa migliore da fare…’

La prima analisi finì così in una catastrofe, e la paziente dovette pure venire a sapere che proprio il suo caso aveva dato l’ultima scossa alla fiducia del terapeuta nella propria arte.
Gebsattel successivamente ricercò apertamente nella propria crisi personale aiuto analitico, e si recò a Berlino per un’analisi con Hanns Sachs. Più tardi riprese il lavoro analitico, ma rimase pure legato ai circoli vicini a Louis Haeusser.
Nel 1943, quando si era nuovamente dedicato al caso di Ellen West, Ludwig Binswanger scrisse a Gebsattel:

‘Caro collega!
Non so se in questo periodo posso disturbarLa con la mia richiesta, e lo faccio solo nella sicurezza che, se ora lei non ha tempo, rimanderà la risposta a tempi migliori.
Sono attualmente occupato nella rielaborazione di significativi casi limite di schizofrenia, soprattutto quelli con spinte compulsive. Uno dei più interessanti è il caso della Signora Ellen West, ricoverata da me nel 1921, e nel 1920 in analisi con Lei a Monaco. Ho un’anamnesi molto approfondita, ma nessun dettaglio psicanalitico: nella mia clinica una psicanalisi non fu più possibile. Forse Lei si ricorda che la signora venne completamente logorata nella lotta fra il suo ideale di magrezza e una fame compulsiva. Con sicurezza avevo predetto il suicidio. Lei potrebbe, sulla base dei Suoi ricordi o anche di note ancora disponibili, ricostruire per me la Sua impressione del caso? Anche poche parole mi basterebbero. In ogni caso non c’è fretta. Posso menzionare il suo nome, o preferisce di no?
Mi spiace molto non poterLe mandare il mio libro; dal momento che – per problemi monetari- si è deciso di non commercializzarlo in Germania, anche un invio in regalo è molto insicuro. Sarei felice di saperLa lettore del mio libro, e già mi rallegro all’idea della possibilità di discuterne con Lei. Come contrappeso sono di nuovo interamente occupato con la psichiatria. Rielaboro tutto il mio materiale sulla schizofrenia, anche se ancora non so cosa ne salterà fuori.
[…]
Sono molto grato per la Sua ultima visita, e spero proprio in una sua prossima ripetizione.
Saluti di cuore a Lei e consorte da mia moglie. Concludo come il suo affettuosamente devoto
Ludwig Binswanger’




Gebsattel rispose:

‘[intestazione stampata]
Dr. Barone von Gebsattel
Neurologo

Berlin-Charlottenburg, 2.5.43
Sophienstr. 4-6
Tel. 323000


Caro collega,
molte grazie per i Suoi saluti. ‘E un vero peccato che io non posa ricevere il libro. Posso chiedere il titolo? Può anche darsi che io riesca a procurarmelo!
Per quanto riguarda la Sig.ra Dr. West, non ho a disposizione note sul suo conto. Mi ricordo però molto bene di lei. Non poteva mandar giù assolutamente nulla senza essere torturata dal pensiero di aumentare per questo di volume e di peso, di tuffarsi nella materia, di divenire così più volgare e sporca, banale e comune! Ripensandoci- allora non avevo ancora finito il mio studio della Medicina- mi viene in mente la psicologia dei casi di magrezza ipofisaria. Nel suo caso iniziò- se non erro- alla pubertà, quando si esaltava il suo bell’aspetto. Non voleva avere un bell’aspetto, ma essere pallida, eterea, spirituale. L’angoscia davanti al mangiare, davanti alla necessità di farlo, la tormentava tutto il giorno: e soprattutto dopo l’assunzione di cibo l’angoscia del mutamento così prodotto. Di tanto in tanto si provocava artificialmente il vomito. Non ricordo con chiarezza la ‘Avidità coatta’. Più significativa era la totale incorreggibilità della difesa coatta contro l’assunzione di cibo- davanti al carattere insensato (folie lucide|) di questa difesa. Non ricordo più la porzione nevrotica del caso, ma ritengo ci sia una base per questa dimenticanza. L’analisi non portò alla luce nulla di essenziale- era del tutto preponderante l’involucro psicotico. Vi era un legame paterno, ma ella era in una relazione molto buona con il marito, che mi pare essere stato estremamente paziente con lei. Erano molto forti interessi intellettuali (la letteratura) (giunse a me tramite la sig.ra S.!). Era complessivamente ben funzionante, e disturbata solo nell’area circoscritta del sintomo Le crisi di sconforto mi hanno fatto presto pensare a una depressione endogena. La diagnosi di schizofrenia è saltata fuori per la prima volta nella Sua clinica (Hoche?). Oggi io direi: sintomatologia anancastica in costituzione schizofrenica. Non si potrebbe pensare che vi sia una parentela fra questo tipo di fobia coatta e difesa coatta da una parte e il delirio nichilistico dall’altra? Quello che in un paranoide è delirio nichilistico viene qui disfatto fino a un non-essere anancastico: il non-essere del corpo ricercato tramite il rifiuto del cibo;- diventa un ideale coatto. Il suicidio, per quanto in primo luogo determinato dalla sofferenza del vivere, in effetti dà compimento al fine attorno al quale gravita la coazione. (Dando nomi oppure no, come Lei preferisce).
Perdonatemi questi frammenti buttati lì. Torno ora da Überlingen (- Con dietro molti sguardi sul lago!)- e mi affretto a rispondere, prima che l’attività professionale mi ingoi di nuovo. Molti calorosi amichevoli saluti dalla nostra alla Sua famiglia
il Suo E.v.Gebsattel’




Per Ellen West ad ogni modo il suo primo trattamento analitico, così tragicamente conclusosi, ebbe conseguenze severe. Fu presto chiaro che senza l’aiuto di un terapeuta non sarebbe riuscita a saltarne fuori, e così lei ed il marito si misero alla ricerca di un altro analista. La scelta cadde sul Dr. Hans von Hattingberg, che d’altra parte conosceva personalmente la paziente dal tempo di un precedente soggiorno di lei nella città.








Ellen West in analisi con Hattingberg (dall’ottobre al dicembre 1920)



Hans von Hattingberg nacque il 18.11.1879 a Vienna, figlio di un funzionario governativo cattolico. Studiò Diritto, e si laureò nel 1902 all’Università di Vienna. Fu di professione giurista fino al 1906. Nell’agosto conobbe Forel, e iniziò a studiare Psicologia e poi Medicina (nel 1906 si iscrisse a Berna, nel 1908 ad Heidelberg). Nel 1913 si laureò in Medicina a Monaco con una tesi sulla sclerosi multipla. Nel 1914 si stabilì a Monaco come ’specialista in psicoterapia’.
Anch’egli ebbe contatti con i circoli artistici di Monaco. Suo fratello Walter era scultore; la moglie di questi, Magda von Hattingberg, pianista, ebbe per la durata di diversi mesi una intensa storia d’amore con Rilke. Da non molto è stato pubblicato l’epistolario dei due.
Nel 1911, come rappresentante della Associazione Internazionale per la Medicina Psicologica, aveva preso contatti con il movimento psicanalitico. Divenne membro della associazione psicanalitica di Monaco. Nel 1913, al 4° congresso psicanalitico internazionale di Monaco fece un intervento ‘Sul carattere erotico-anale’, che venne stampato un anno dopo con il titolo ‘Erotismo anale, masochismo e ostinazione’. Nel 1914 prese parte alla guerra come medico, e dal 1916 fino alla fine del conflitto diresse un ospedale militare per disturbi mentali. Nel 1919 entrò nella Unione Psicanalitica di Vienna (abitava di nuovo a Monaco) e ne rimase membro fino al 1925. Nel 1920, al 6° Congresso Internazionale Psicanalitico dell’Aia lesse un intervento sul tema ‘Transfert e scelta oggettuale; il loro significato per la dottrina degli istinti’; nel 1922, al 7° Congresso di Berlino, parlò sulla ‘Ricerca di una analisi della situazione psicanalitica’.
Hattingberg fece nel marzo del 1924 un tentativo di trasferirsi a Berlino, ‘con grossi obiettivi, la cui attuazione potrà essere intrapresa solo dopo qualche tempo’. Non riuscì comunque a consolidare la sua posizione a Berlino, e ritornò a Monaco.
Nel 1925 fondò insieme all’editore Niels Kampmann una nuova rivista dal nome ‘Giornale di Antropologia’. Tentò inutilmente di convincere Binswanger a collaborarvi. Binswanger cautamente rifiutò, ma Hattingberg continuò ad insistere, e tentò di interpretare analiticamente il rifiuto dell’altro- cosa che fece irritare Binswanger.
Hattingberg fu nel 1925/26 uno degli iniziatori del Primo Congresso di Psicoterapia Medica, ma si scontrò con Wladimir Eliasberg ed uscì dal Comitato Organizzatore. Nel 1932 finalmente si trasferì a Berlino, fu nel 1933 fra i fondatori della Società Generale Medica Tedesca di Psicoterapia, ottenne nello stesso anno un incarico di insegnamento in psicoterapia alla università di Berlino, e nel 1936 fu tra i fondatori dell’Istituto Tedesco per la Ricerca Psicologica e la Psicoterapia, con il ruolo di direttore della Sezione Ricerca e della biblioteca. Nel 1940 venne nominato Professore. Contribuire a sviluppare la ‘Nuova dottrina tedesca di psicoterapia’, senza d’altra parte essere personalmente vicino al nazionalsocialismo. Nel 1943 illustrò i fondamenti della nuova dottrina alla Società Kaiser Wilhelm; il suo discorso venne pubblicato come monografia. Insieme alla moglie Liese, Hattingberg nel 1944 prese la direzione della sezione sulla consulenza matrimoniale dell’Istituto Statale per la Ricerca Psicologica e la Psicoterapia nel Consiglio Statale della Ricerca. Il 18 marzo 1944 Hans von Hattingberg morì a Monaco. Uscì postumo un suo libro dal titolo ‘Crisi matrimoniali, crisi di sviluppo; un problema del nostro tempo’
Hattingberg appartenava certamente al movimento psicanalitico, ma per lunghi anni restò una figura marginale. Non si era sottoposto ad una analisi personale.
Ellen e Karl West andarono a trovare Hattingberg nel suo domicilio estivo a Bad Heilbrunn, vicino a Bad Tölz, a sud di Monaco, e vi restarono una settimana. Dopo le sedute di prova Ellen scrive a sua madre il 1° settembre:

‘Il Dr. H. è mio buon amico e sarebbe lieto di essermi d’aiuto. Il suo tipo di terapia mi piace molto. Ho molta fiducia in lui, e mi sento estremamente vicina a lui in questi giorni. Se andrò ancora un poco da lui d’inverno dipenderà dall’effetto che avrà su di me Düring. Dopo che avremo consultato Düring tornerò a casa con Karl, la prima volta solo per poco, forse una settimana. Ne ho il bisogno; e devo, dopo tutto questo, un’altra volta rannicchiarmi nel letto vicino a te, e confidarmi con te.’


Il tono speranzoso è evidente anche in uno scritto che Hattingberg indirizzò al marito di lei il 2 settembre:


‘Il trattamento vero e proprio, data la natura puramente psicogena del disturbo, può solo essere psichico, e come tale, per la mia esperienza, in una nevrosi ossessiva in genere non si può considerare altro che la psicanalisi. Lei mi dirà giustamente che questo strumento è fallito. Ma: 1. la psicanalisi è un metodo che può essere impiegato in modi assai diversi- che una è fallita non deve necessariamente indicare che un’altra dovrà necessariamente non riuscire. 2. l’analisi non è stata condotta fino alla conclusione, e complessivamente è stata indirizzata in una direzione molto unilaterale, il che mi rende del tutto comprensibile il suo essersi arenata. –D’altra parte, a mio avviso, la psicanalisi fatta fin’ora non è stata inutile, come giustamente Lei ha sostenuto nella lettera per il Prof. Düring.- 3. Soprattutto, al di fuori della psicanalisi non c’è nessun mezzo per combattere con successo una nevrosi ossessiva, quando ha raggiunto un tale livello. [,,,]
Così c’è solo una via- imparare a conoscere le resistenze che impediscono alle spinte del paziente buone, degne di vita, di prender la guida,- cercare di scoprire cosa la spinge a affamarsi in questo modo sistematicamente fino alla morte. Ritengo assolutamente possibile un aiuto su questa via- credo assolutamente nella possibilità di guarigione- e potrebbe sembrarmi che i nostri vecchi rapporti personali possono in effetti renderla molto più facile.
Non è così importante in quale momento si debba iniziare la terapia. Sarei completamente d’accordo se sua moglie-se così vuole- rimandasse ancora per un po’ la decisione- la costrizione mi sembra del tutto senza prospettive. Dipende tutto dalle condizioni del paziente.
Se essa- la psicanalisi- ha successo, allora deve farle seguito la ‘sintesi’, ‘il riempire il nostro cuore di di vivente cura per gli altri’. Senza questo risultato parlerei anch’io di una guarigione apparente- Anche qui ha ragione il Prof. Düring. Ma questa grande meta è raggiungibile solo quando l’analisi- cioè la conoscenza delle resistenze- è andata fino in fondo, così da preparare il terreno da cui poi può crescere la semente sperata. Se le energie postive ci sono esse devono solo essere liberate, e che vi siano qui lo sappiamo già.
Basta con queste valutazioni, che in fondo non possono dimostrare niente. Sperabilmente saranno a un certo punto i risultati a parlare per sé- premessa l’ipotesi che sua moglie decida per una prosecuzione, cioè per una nuova terapia psicanalitica.
Spero di rivederla a Monaco, se anche lei così deciderà, e la saluto intanto di cuore come il suo devoto
Dr. Hattingberg’



Hattingberg si reca successivamente al Congresso,- dove del resto incontrerà pure Binswanger-, la paziente con il marito si reca a casa propria. All’inizio di ottobre ella torna a Monaco e intraprende l’analisi.
Alcuni brani del diario di Ellen West possono illustarne il corso.




‘21 ottobre 1920
Seduta di ieri
Mangiare. Succhiarsi il pollice. Diventare grassa è come isolarsi dal mondo. Non mangiare. Essere magra è come vivere con altri, con gli altri che sono il mio ideale: biondi, più alti: Gustav, Emma etc. Il conflitto: lottare per avvicinarsi all’ideale di uomo; ma pure la ricerca di essere lasciata in pace nel mio comodo mondo, di succhiarmi il pollice. Qui i fili si confondono; perché nei fatti mi isolo tramite il mio voler essere magra, e sogno quindi di liberarmi del mio ideale di magrezza., per ritrovare la strada verso gli uomini. Qui si trova una contraddizione che non riesco a districare.
Cosa significa la terribile sensazione di vuoto?
La spaventosa sensazione di inquietudine, che sopraggiunge dopo ogni pasto? Il cuore si dispera, lo sento con il mio corpo, è un sentimento di una indescrivibile sofferenza. Non può davvero essere il mangiare? Deve essere qualcosa d’altro quello per cui mi angustio.
Cerco qualcosa nel mangiare che il mangiare non può dare. Se cerco nel cibo di placare la mia rimossa spinta sessuale- allora per forza ogni giorno di nuovo devo essere delusa.
Ma questo vuole dire dunque che il mangiare per me significa una realizzazione della spinta sessuale? Così sembra, ma ne ho solo prove indiziarie.
Gli indizi sono:
1. l’agitazione che si sviluppa dentro di me.
2. il senso di delusione, la depressione dopo il pasto.
3. il carattere sacrale che do al mangiare.
Chiamo questi indizi, mentre mi dico: deve però essere una spinta sessuale malata quella che si esprime qui. Un po’ come si dice: Solo la serva è entrata nella stanza, etc. etc.; deve quindi essere stata lei a rubare i gioielli. Questo tipo di prove in genere bastano ai giudici. A me non bastano, se non scopro qualcosa di più.
Come giungo a questa folle deformazione? Dipende, mi si dice, dall’erotismo anale. Questo è sapere, non sentire. L’erotismo anale per me è solo una parola. […]
Non riesco a capire quando, dove, come il mangiare mi ha dato soddisfazione sessuale. Deve essere avvenuto quando ero una lattante. Dipende tutto dall’erotismo anale. Ma l’erotismo anale non è che una parola per me.’


Contemporaneamente fiorisce apertamente il rapporto con Hattingberg:

‘Sono felice in pochi momenti d’amore,- oggi, quando sono venuta via dal D.v.H.. Poi la sensazione di gioia scompare di nuovo, ed il pensiero del cibo allontana tutto. Ripeto la mia teoria: mangiare è la forma maschile di soddisfazione. Io però desidero anche la forma femminile; anche il donare. La parte maschile in me diventa sempre più brutale, calpesta quella femminile; lei si volge via e piange, il cuore quasi le si spezza dall’angoscia.’



Un sogno pare molto significativo per la costellazione di transfert:

‘27 Ottobre.
Sogni
Me ne vado in giro, cerco una strada. Il posto mi è estraneo. Vedo venire un paio di ragazzi e ragazze, e chiedo loro la strada. Mi indicano dove devo andare: attraverso una strada laterale mal lastricata. Vado avanti per un po’, svolto all’angolo, e vedo che la strada è tutta sommersa dall’acqua. Sento sopraggiungermi dietro i ragazzi e le ragazze, mi volto verso di loro, faccio notare l’inondazione. Loro non se ne curano, e entrano dritti nell’acqua. Adesso noto che hanno dei costumi da bagno. L’acqua è profonda, turbinosa, ma chiara e trasparente.Dibatto con me stessa se anch’io devo attraversare a nuoto, ma penso che mi rovinerò gli abiti. Di colpo mi trovo però nell’acqua, che però mi sembra non essere assolutamente più profonda.Non nuotiamo infatti, ma stiamo in piedi, come in un giardino. Uno dei giovani inizia a sparare a delle anitre selvatiche. Sopraggiunge un uomo, molto irritato, che vuole portarci in prigione. Gli faccio vedere che ho le mani vuote, che non ho armi; non sono colpevole di nulla, che io sappia. Capisce che non ho nulla a che fare con gli altri, non mi arresta, ma mi accompagna dal Dr. v.H.
Il Dr. v.H. è seduto in una stanza, su un sofà vecchio stile ad una grande tavolo ovale. Suo fratello gli è seduto accanto. Mi saluta sorridendo, (il Dr. v.H.) e io lo ringrazio per avermi un’altra volta salvato da una brutta situazione. Mi sembra che, nella mia ricerca della strada giusta, già più volte io mi sia trovata in situazioni difficili, dalle quali ogni volta lui mi ha tirato fuori. Poi usciamo insieme dalla stanza, andiamo in una camera da letto, dormiamo insieme. Sono molto felice, ma il Dr. v.H.piange. Dice:’Mi lascio sempre trascinare a far qualcosa del genere per amore delle mie pazienti. Ma non dovrei farlo.’ Si fa dei rimproveri per via di sua moglie. Cerco di consolarlo e di dirgli che egli non sottrae nulla a sua moglie se, solo per motivi terapeutici, aiuta altre donne; questo di sicuro lo capirà bene anche sua moglie. Infine mi arrabbio, dato che lui continua a piangere, e dico irritata: ‘Anch’io sono sposata, e mio marito non ha nulla contro di questo’. Temo che lui non tornerà da me, e gli chiedo se pensa che dopo questa sola volta potrò avere un bambino. Lui ride e dice: ‘Proprio non lo so’. Sono delusa, dato che già speravo di averne uno da lui. Dico: ‘Non potete abbandonarmi. Se questa volta non resto incinta, deve ritornare da me un’altra volta’. Mi sveglio e noto che mi è successo qualcosa che dalla prima infanzia non era più successo: ho bagnato il letto.’





‘30.11.1920
H. dice: ‘Tutto deve avere un significato’. Non mi tormenterei così se la cosa non mi desse gioia. Naturalmente gioia non per me persona ragionevole, ma per l’Inconscio, che vive in me. Devono esserci istinti in me che cercano l’isolamento, che amano l’autotormentarsi: altrimenti non mi terrei stretta con tanta costanza alla mia malattia.
Questo mi pare davvero grottesco. Se questi istinti vogliono l’annullamento, allora hanno comunque raggiunto il loro fine.
Non lo capisco, non capisco più niente. So sola di essere infinitamente disperata, infinitamente misera…
E adesso risento nella mia mente la voce di H. che dice: ‘Forse lei vuole davvero questo?- Siccome non può essere infinitamente ricca e potente,- allora essere infinitamente misera’…
Ma questo è assolutamente insensato! Una interpretazione del genere, se fosse giusta, dovrebbe subito liberarmi e rendermi sana. Io avrei così spinto all’assurdo tutta l’apparenza della malattia, e ne sarei libera. Invece mi impiglio sempre di più nelle sue reti.’



Si prospetta un’interruzione dell’analisi per via delle vacanze natalizie. Alcuni brani dal diario del marito:

‘21.12. […] Il pomeriggio è di nuovo pieno di speranze. E. torna scossa da von H.che per le vacanze le ha dato in prestito un libro di Freud perché lo studi.
22.12. […] vado a prenderla alle 4 da H., con cui poi parlo e che mi dice che non vi sono motivi di pessimismo e che bisogna solo aver pazienza. Si tratta comunque di un caso difficile.
Venerdì, 24.12. […] durante la cena riceve una pianta inviata da Hattingberg.
26.12. Domenica: […] andiamo da H., che oggi fa analisi l’ultima volta prima delle sue ferie. Il percorso là è sconsolante. Tiene lì E. un’ora e mezzo (mentre io scrivo a G.), ma oggi non le serve a nulla. Sulla strada del ritorno lei mi racconta quello che lui ha detto. Per me è qualcosa di incomprensibile: E. deve, per poter ottenere l’amore e la comprensione del padre, avere trasformato in depressione la sua idea fissa etc. Posso ben capire la mistica di E. Molto significativo è che- in contrasto a Kraepelin, Romberg e Veil- H. le abbia detto che la depressione non se ne andrà via da sola, ma può essere rimossa solo tramite una propria attività nella psicanalisi.’



Nel proprio diario la paziente il giorno dopo, il 27 dicembre, traccia un bilancio desolato:


‘Sono amaramente delusa dall’analisi. La chiarezza che fin’ora mi ha dato su me stessa non mi serve a niente. In contrasto rende ancora più pesante il cuore: vedo dove stà la mia malattia, e non riesco a superarla. Un ammalato di cancro non guarisce quando sa di avere un tumore. Nella sua sofferenza semplicemente fa il suo ingresso ora la disperazione.
L’unica conclusione che posso trarre dall’esperienza dell’ultimo periodo è di togliermi la vita.
[…] Fin tanto che sono stata la bambina di mio padre, e nient’altro, sono stata felice. Ma prima o poi bisogna tagliare il cordone ombelicale. Devo infine camminare con le mie gambe. E qui ho commesso l’errore di allontanarmi completamente dal modello di mio padre. Di questo devo ancora fare penitenza.
E ora devo cambiar direzione, devo imparare a trovare la strada giusta, quella che sta nel mezzo, cioè fra il modello di mio padre e quello che avevo scelto.
Ma dove posso trovarla questa strada? Secondo H. nella misura in cui ogni giorno ed ogni ora la tengo davanti agli occhi. Nella misura in cui desidero guarire, e vivere. Vivere come una semplice, normale donna, che non vuole solo essere amata e coccolata ma sa lei stessa amare e corrispondere all’amore altrui.
Sono ancora malata perché voglio esserlo, perché ho paura della vita, che mi fa richieste che non posso accettare.
Tutto questo lo vedo bene. Però non riesco con la volontà dominare questi istinti, che non ostante la mia ragione mantengono la loro vecchia posizione. ‘E proprio questo a farmi tanto disperare. A che serve ogni volere? L’’Inconscio’ è più forte, e ride di tutta la mia buona volontà.
Per questo non vedo nessuna strada che mi porti fuori dalla mia ‘nevrosi’.’




Lo stesso giorno in cui traccia questo bilancio scrive una lettera disperata a un educatore e pedagogo, di nome Richard Engel, che gestisce un istituto presso Bonn:

‘Che devo fare? Il Dr. v.H. mi raccomanda pazienza e mi consiglia a tentare ancora un paio di mesi con la psicanalisi. Ma non ne ho più la forza.
Le sarei indicibilmente grata se lei mi scrivesse cosa pensa della mia situazione, e se ritiene che io possa liberarmene.’

Il pedagogo risponde prontamente. Descrive il proprio metodo come un tipo di diretta influenza personale ‘tramite cui- per parlare figurativamente- si può in qualche modo dare una nuova forma alla personalità’, si dice disponibile, ma contemporaneamente dice:

‘Fintanto che lei ce la fa, resti lì! Qui io sono terribilmente occupato. Naturalmente non le rifiuterei aiuto, se lei dovesse averne bisogno... […] ma solo se davvero fosse necessario.’

Sicuramente non un invito capace di dare speranza.!
Il resto lo conosciamo già.: l’assenza dell’analista viene sfruttata per un ricovero nella Clinica di Binswanger, dove la coppia entra il 14 gennaio 1921.




Il ricovero a Kreuzlingen (dal gennaio al marzo 1921)

La paziente sembra all’inizio sollevata e meno angosciata. I primi resoconti da Kreuzlingen sono pieni di fiducia e speranza:
Il 18 gennaio scrive ai genitori:

‘B. di nuovo ha parlato con me per un’ora oggi, e poi ancora una mezz’ora con Karl. Questo devo dire: fa l’impressione di una persona notevole e intelligente, ed è molto, molto simpatico. Se nel corso della mia malattia non avessi già avuto tante delusioni, mi metterei a gridare, tanto sono affascinata. Ma sono divenuta più cauta. Certamente, lui capisce completamente la mia malattia, ma questo lo ha fatto anche G. Ed ora prima aspetterò di vedere se la sa guarire.
Con tutta la sua comprensione e il suo affacendarsi attorno al mio insolito caso lui dà un’impressione di energia, e è pure generalmente considerato una persona molto energica. Così oggi ha detto: ‘Non la costringerò a nulla, ma anch’io non mi lascerò costringere a nulla da lei’….
Ho la sensazione di essere qui davvero nelle mani giuste e nell’ambiente giusto.
Nella clinica c’è una meravigliosa tranquillità; gli ospiti sono tutti persone sofferenti, e- cosa notevole- già questo ha un effetto benefico su di me. Tutto il personale è addestrato al trattamento dei disturbi psichici; perfino le inservienti.La responsabile, sig.na Müller, passa ogni mattina e chiacchiera un po’. La sera le persone che hanno voglia di parlare siedono insieme nella sala. Si può stare con loro, o starsene via, come si vuole. ‘E una cosa meravigliosa essere in una vera Clinica per disturbi nervosi!- Se qualcuno prima mi avesse detto che io avrei parlato così, gli avrei riso in faccia!’




Ai genitori, 21.1.1921:
‘Adesso abbiamo due camerette carine l’una vicino all’altra; una è una stanza da letto, dotata di due letti, lavabo e armadio; l’altra è una stanza di soggiorno, con un bel tavolo rotondo al quale mangiamo, un armadio, un divano, comode seggiole, una scrivania e portafiori. Fa un’impressione davvero piacevole, e per i portafiori ci siamo pure fatti spedire quattro piante da casa. ‘E soprattutto notevole con quanta dedizione ci si occupa di ciascuno! Medico, responsabile e dipendenti fanno a gara per mettere ciascuno il più a proprio agio possibile. La cameriera è qui già da anni, e decisamente ha una ‘comprensione per la psichiatria’, per non dire vere conoscenze.’


Alla suocera, 11.2.1921:

‘B. non fa psicanalisi con me. Stima sicuramente molto la psicanalisi, ma solo per certi casi. In una depressione, dice, essa non serve a nulla. La sua terapia consiste nel venirmi a visitare due volte al giorno, e nello spingermi al coraggio. Il resto deve farlo il tempo; il tempo e la quiete.’

Invece vi sono contatti personali e amichevoli con il marito:

Karl ora suona molto spesso con il Dr. B. Suonano sempre nella casa privata di B.; è proprio qui vicino, a due minuti, ci si arriva senza mettersi il cappotto. L’altra sera ci sono andati in tanti qui dalla clinica, e tutti ne sono stati esaltati. Karl aveva le guance proprio rosse dalla gioia, ed era molto eccitato…’

Più tardi, dopo la morte della paziente, Binswanger scriverà al marito:

‘La Sonata di Beethoven Op. 5 N. 1, primo movimento, ha da allora per me un significato particolare.’

Il 16.2.1921 lei scrive ai genitori:

‘Stamattina è arrivato tutto un mucchio di fotografie mie, che sono state recuperate da Gretel [la cognata] e da Max [il fratello più giovane]. Hanno molto interessato il dottore. ‘E quasi incredibile quanto penetra in ogni particolare, e quanto è efficiente ed instancabile. Come prima viene da me due volte al giorno; il mattino alle 10, ed il pomeriggio fra le 5 e le 7. Non può fare molto; poiché già dice che solo tranquillità e tempo possono portare la guarigione. Ma mi aiuta proprio tramite il suo venire e la sua attenzione costante: si fa sempre descrivere l’esatto corso della giornata e della notte, mi fa coraggio, mi spinge a schiudergli sempre il cuore; a volte mi dà una medicina a volte un’altra, per aiutarmi nelle ore di maggior depressione,- e è complessivamente una persona estremamente stimolante e- per quello che io posso giudicare- un medico molto notevole.’


Ma presto tornano i dubbi. Dopo qualche settimana scrive nel suo diario:

‘Non riesco più ad immaginare di poter guarire. Tornare libera, tornare senza problemi. […] C’è un diavolo dentro di me, e come ha deriso tutta la mia intelligenza e la mia buona volontà, così pure deride ora la mia ‘fiducia nei miracoli’. Perchè io credo che solo un miracolo può salvarmi; tutti gli altri mezzi sono falliti.’

Nel diario si vede che i cattivi presagi si infittiscono. Il 18.3.1921 scrive alla suocera:

‘Cominciano a ricomparire i sintomi della depressione, ma sotto stà un’altra malattia; non so come si chiama, ma penso che sia una qualche incurabile malattia mentale. E la mia sofferenza è tanto più grande, quando per così dire con gli occhi aperti mi vedo andare a terra. […] Alla fine della prossima settimana vengono per un consulto Bl. da Zurigo e Ho. da Friburgo. Fino ad allora stringerò i denti e aspetterò di vedere come saranno la loro diagnosi e la prognosi. Penso che solo un miracolo possa salvarmi; ed i miracoli non succedono.’

La paziente ha evidentemente correttamente colto il sospetto dei medici che si tratti di una schizofrenia, e vi ha reagito. Questo potrebbe pure essere il punto di svolta segnalato dalla curva del peso nella cartella clinica.


Nota di diario del 22 marzo 1921:

‘Vorrei non essermi svegliata dalla notte della depressione per poi dover vivere quest’orrore. Come un uomo che si riprende da una grave malattia solo per vedere che entrambe le gambe gli sono state amputate; o per ascoltare che ha perduto la sua amata. Sente di nuovo cantare gli uccelli, e vede la dolce luce del sole,- e sa che tutta la sofferenza è stata inutile: perché lui non è più in grado di vivere.
Quando ero ancora depressa, allora semplicemente non potevo immaginare la salute. Ora so di nuovo com’è la salute, come può esser bella la vita. Ma sono ammalata, e con occhi pieni di rimpianto devo abbandonare tutto.
Da quando non sono più depressa so per la prima volta quanto sono malata.
Di giorno in giorno cresce in me l’orrore davanti agli ignoti istinti che vivono in me come qualcosa di estraneo e terribile: l’avidità di cibo da una parte, e l’angoscia davanti al mangiare dall’altra.. […]
La morte è per me diventata una necessità. Solo nella morte posso trovare la pace che in vita agogno inutilmente.
Questo conflitto, che ogni giorno si ripresenta e non può essere risolto, è insopportabile.’


Dopo la ‘sentenza’ dei tre medici- tale fu nel più vero senso della parola- scrive il 26.3.1921 ai genitori:

‘Scrivo adesso presto invece che domani, dato che ci sono ancora progetti da raccontare. I giorni cattivi, di cui ho parlato ultimamente, non erano propriamente di malinconia. La malinconia in effetti da diverse settimane è in calo, e adesso se ne è completamente andata. Le depressioni che ancora mi tormentano non hanno a che fare con la malinconia. Sento in modo del tutto chiaro che la malinconia lentamente ma sicuramente mi ha abbandonato. ‘E solo rimasto acquattato là sotto qualcosa che mi deprime. E poco per volta ho sentito che la clinica ora non mi aiutava più, che non aveva più senso per me; sono diventata inquieta. era giunto il momento in cui l’atmosfera della clinica non mi tranquillizzava più, ma mi deprimeva…’

La decisione di lasciare la clinica e togliersi la vita era a questo punto già stata presa. Il 30 marzo la coppia parte da Kreuzlingen.






La fine



La sera del 4 aprile Ellen West prese il veleno mortale, e il mattino successivo era morta. Lasciò dietro di sé parecchi scritti, che forniscono informazioni sui suoi ultimi pensieri e sulla sua morte.
In primo luogo vi è una lettera personale, senza data, per il marito:

‘Mio Pitt,
perdonami, perdonami.- No, non devo implorarti di questo: tu hai visto tutto. Mi hai visto soffrire e combattere, e mi perdonerai se ti arreco questo grande, grande dolore. ‘E un brutto ringraziamento per l’amore infinito di cui mi hai circondato. Ma anche per via di questo meraviglioso amore tu mi perdonerai, e mi concederai la pace. Non piangere, non piangere! Io ho sofferto, ma adesso sono libera.
Non posso scrivere molto, ma a te, che notte e giorno mi sei stato al fianco, non ho bisogno di ‘spiegare’ molto. Soltanto quest’unica cosa: so che non posso migliorare, e che ogni lotta è inutile.
Diletto del mio cuore, ti ringrazio per ogni ora, per ogni minuto in cui mi sei stato accanto. Ti ringrazio di avere tramite te vissuto il grande miracolo dell’amore. Le cose più belle che vi sono state nella mia vita le hai portate tu. E solo tu mi hai reso possibile sopportare il tormento degli ultimi mesi.
Consola i miei genitori meglio che puoi. Racconta loro di me; allora smetteranno di piangere, e saranno grati che io riposi in pace.
Ho solo un paio di ultime disposizioni, le scrivo su un biglietto e le lascio qui. Ma sei tu che dovresti avere più di tutti diritto a darne! Sono solo desideri, e quello che non ti pare giusto cambialo.-
Quasi mi si spezza il cuore, a doverti dare questo dolore. Amore, amore, continuerei a lottare, se ci fosse una meta; ma non ce n’è nessuna. E ora per un’altra volta ti dò il bacio della buona notte,- come tanto spesso, nelle ore liete e in quelle pesanti.- Senti un’altra volta tutto il mio amore,- e perdonami.’



Come secondo foglio Ellen lasciò questo scritto:

‘Domenica 3 aprile
Il veleno, mio amato, ce l’ho con me da Monaco; e cosa si deve fare l’ho appreso in ospedale.
Se tu mi dovessi trovare prima che io sia morta, ti imploro di non farmi risvegliare alla vita. Questa è la mia ultima angoscia: che arrivi un medico a cercare di rianimarmi.
Lunedì 4 aprile
ieri notte tu hai dormito in modo così inquieto e leggero che non ho osato far nulla. Stasera ti darò del Pantopon o dell’Adalin- perdonami! Ma non posso più attendere.
Io prenderò del Luminal e del Veronal, e mi farò un’iniezione di morfina. Tutto questo assieme deve servire! Voglia Dio che io non mi risvegli più.
Penso tutto il giorno alle parole di Goethe
…aspetta, presto
riposerai anche tu.’


Il quadro che qui Ellen West dà delle circostanze della sua morte non collima del tutto con la descrizione del corso degli eventi fatta dal marito nella lettera che segue. Si può supporre che Karl West abbia fatto a Binswanger un resoconto veritiero, mentre lei stessa in questa lettera ha dato una rappresentazione dei fatti che potesse discolpare lui, il legale, dall’accusa di avere agevolato il suicidio.
Le ‘ultime disposizioni’ di cui parla la lettera d’addio riguardano in primo luogo il funerale.

‘Soprattutto ho a cuore che le esequie abbiano luogo in modo del tutto riservato, con pochissime persone. Mi è indifferente che io venga seppellita o cremata. Solo che non ci sia nessuna celebrazione al crematorio. Preoccupati che non ci sia nessuno lì che intimamente sia lontano da me; e che non si tengano discorsi. Vorrei che ci fossero solo i tuoi ed i miei genitori, [la bambinaia], Gretel [la cognata] e Max [il fratello più giovane];- e se deve essere così, questo o quell’amico stretto: Emma o V. o Z. o chi vuoi tu. Ma per favore, per favore, nessuno che in vita è stato intimamente lontano da te e da me.’


Seguono dettagliate disposizioni riguardanti le sue ‘cose’. Vestiti, gioielli, ritratti e ricordi vengono divisi fra membri della famiglia ed amici, il resto resterà al marito. Anche Gebsattel (per scelta di Karl ) riceverà qualcosa (successivamente chiederà un libro). Non viene nominato nessuno degli altri medici.
Il 7 aprile il marito scrisse a Binswanger a proposito degli ultimi giorni di Ellen:

‘[…], 7.4.1921
Caro Dottore,
questa è la prima lettera che scrivo dopo la morte di Ellen. I miei pensieri vanno a Lei, dottore. Voglio riferirle come sono trascorsi gli ultimi giorni.
Durante il viaggio Ellen è stat incredibilmente coraggiosa. Sapeva perché lo faceva, e ciò le dava forza. Di giorno ha preso solo una volta il Pantopon, e la sera si limitava all’Adalin. Lo sguardo sulla vita, che ha potuto dare durante il viaggio e soprattutto durante la nostra sosta a […]- abbiamo mangiato nell’Hotel […] la sera- le ha dato dolore. Più ancora che nella clinica sentiva quanto incapace di vivere era diventata. Venerdì mattina [1.4.1921] siamo arrivati a casa. Quello stesso giorno sono cominciati i preparativi. Domenica sera era tutto pronto. ma volle attendere ancora un giorno. Gli ultimi tre giorni erano stati per lei più tormentosi di tutte le settimane precedenti. Non sentiva nessun rilassamento, tutti i sintomi ricomparvero rafforzati, la non regolarità del modo di vita la stravolgeva del tutto, e il rivedere l’ambiente familiare, amici e parenti le portava solo più chiaramente alla consapevolezza la propria malattia. Sperava di poter avere un poco di godimento dalla vita almeno l’ultimo giorno. E questa giornata fu meravigliosa. Tutta mattina restò a letto, prese alla prima colazione burro e zucchero, poi dormì e si riposò (anche se il cuore non partecipava, ma, come tutte le volte che stava a letto di giorno, era scosso), e a mezzogiorno mangiò moltissimo, finchè fu sazia, veramente sazia. Per la prima volta da 13 anni provò un sentimento di soddisfazione nel riposare e nel mangiare. Si fece portare a letto dei fiori, si alzò a mezzanotte, passeggiò con me per il giardino, poi lesse assieme a me delle poesie tedesche ed inglesi- Rilke, Storm, Goethe, Tennyson- e si divertì con il primo capitolo di ‘Christian science’ di Mark Twain. Era in uno stato d’animo indimenticabile, tutte le difficoltà sembravano scomparse, un poco di dolore e molta gioia le stavano sul volto. Al caffè mangiò cioccolatini ed uova di Pasqua. Poi scrisse alcune lettere, per ultima quella per la signora T., che accludo aperta, come l’ho trovata, pregando Lei di darla alla signora T. in un momento appropriato. Cenò nuovamente a letto, lesse ancora con me, si fece portare del tè e vi mise dentro il veleno. Non aveva mai assunto alcun cibo con tranquillità maggiore di quel tè. Poi si stese a dormire con un’espressione indicibilmente felice. Mi disse solo un’unica cosa, di scrivere a Lei pregandola di salutare da parte sua Hoche e Bleuler. La mattina dopo tutto era concluso. Appariva nella morte, come mai nella vita- tranquilla e felice e in pace.-
Di me non posso dirle molto. Si dice che quello che viene compiuto con consapevolezza può essere superato. Non so se mai supererò del tutto questo, poiché eravamo davvero cresciuti interamente insieme. Ma che io abbia potuto aiutarla ad avere la morte, e una morte così tranquilla, questo è per me una enorme consolazione in mezzo a tutto il mio lutto. E come tutto sarebbe andato se non avessimo avuto Lei, caro dottore, non oso nemmeno pensarlo. Ellen ed io abbiamo ancora parlato molto di Lei, e le siamo stati grati per il modo in cui in tutte le settimane Lei è stato al nostro fianco.
Per la famiglia la morte è stata del tutto sconvolgente. I genitori sono a G. e sono stati informati per espresso.
Presto tornerò al lavoro. Sento che le sofferenze di Ellen e l’amore di Ellen mi daranno la forza di svolgere la mia professione in modo completamente diverso da quanto finora ho saputo fare.-
Per favore porga i miei saluti a Sua moglie, e ringrazi molto il Dr. Haymann per la sua comprensione e la compartecipazione emotiva. E a Lei una calda stretta di mano dal suo
Karl West’




Binswanger rispose prontamente:

‘Kreuzlingen, 12.IV.21
Caro Dottore,
ho naturalmente di giorno in giorno atteso una sua lettera, e sono stato- posso solo dire tranquillizzato quando l’ho letta, tranquillizzato per voi due. Adesso davvero per la prima volta sento che proprio dovevamo agire così. Spero assolutamente che questa sensazione e di autonomia e di libera scelta davanti all’inevitabile le permetterà a poco a poco di arrivare alla pace. Mi rallegro che lei cerchi distensione nel lavoro. Che sua moglie continuerà a vivere nei miei pensieri può esserne sicuro dentro di me sono restati il suo virile aut aut, e la sua lucidità. Le sarei grato se brevemente mi informasse su tipo e dose dei mezzi impiegati.
Nei miei pensieri vedo lei non solo ancora qui, ma di nuovo qui. Sarei lieto di poter parlare con lei di sua moglie, e intanto far musica. La Sonata di Beethoven Op. 5 N. 1, primo movimento, ha ora per me un significato particolare.
Mia moglie, cui ho raccontato tutto, e il Dr. Haymann le sono del tutto vicini in questo momento, e la salutano entrambe di cuore.
Con sentita cordialità e viva partecipazione
il suo Ludwig Binswanger’



Karl West a Ludwig Binswanger, 23.4.1921:

‘Clinica del Dr. C.

[…]. 23.IV.1921
Caro Dottore,
la ringrazio di cuore per la sua lettera del 12.IV. e per le calde parole che ha trovato per mia moglie.
Io adesso sono totalmente a pezzi, non riuscivo a lavorare e mi sono rifugiato qui, per potere a poco a poco tornare a posto grazie all’aria pura e al sonno. Ho ferie fino al 15 maggio; all’inizio di maggio andrò per un po’ al lago. Naturalmente più tardi tornerò a trovarLa- ma non per ora, e non quest’anno credo.
I genitori di mia moglie sono semplicemente favolosi- hanno piena comprensione per la sua decisione, e trovano consolazione nel sapere che è libera dalla sua sofferenza e che ha avuto una morte dolce. Il veleno che ha preso è stato Luminal 20 compresse da 0,3 gr. ( 6 gr. in totale). Questa dose sarebbe stata di per sé letale, anche se se non avesse aggiunto della morfina ( 20 cc di soluzione allo 0,3). Il resto Glielo racconterò direttamente quando, sperabilmente l’anno prossimo, La rivedrò.-
Per l’assicurazione sulla vita di mia moglie il medico curante ha da riempire un modulo; penso che un modulo simile Le sarà inviato. Il medico di famiglia, il Dr. O. a C., ha indicato come causa di morte ‘Suicidio mediante Luminal e morfina a seguito di un disturbo mentale’, e valutato la durata della malattia come insorta da 4 anni. In effetti la malattia era insorta molto prima, ma a lungo non era stata riconoscibile come tale. La polizza poi è stata fatta prima dei 16 anni- nel 1905. Come medici curanti prima di Lei ho dato i nomi di Romberg e Hattingberg.
Molti saluti dal suo
Karl West’





Anche successivamente Binswanger sostenne la giustezza della decisione di avere lasciato andare verso la morte Ellen West. Quando Karl West gli mandò i suoi auguri in occasione dell’ottantesimo compleanno, rispose:

‘Con i suoi amichevoli auguri lei mi ha dato una gioia particolare; lei e sua moglie siete sempre nei miei pensieri. La decisione di allora fu una delle più dure di tutta la mia vita. Non ostante la maggior esperienza, la ritengo comunque ancora giusta. E continuo a pensare alla così rara comprensione e fiducia e collaborazione fra voi due!’

Binswanger naturalmente informò gli altri medici che si erano occupati del caso. Questi reagirono in modi molto diversi.

In primo luogo una lettera scritta da Hoche dopo il consulto, ma prima della morte della paziente:

‘Friburgo i Br, 26 marzo 1921
Caro collega,
sono, in buone condizioni e dopo una piccola perquisizione al confine, dove inutilmente hanno cercato banconote svizzere, ritornato qui, in mezzo a un calore estivo.
La Sua grande e amichevole ospitalità ha trasformato questa spedizione in distensione per il corpo e per lo spirito- e di questo ringrazio di cuore Lei e Sua moglie.
Se per caso quella sig.ra West non sarà spinta in modo semi-attivo dal marito negli Inferi, l’averle facoltativamente aperto la porta d’uscita potrebbe anche (e dipende da una elaborazione psichica attualmente) avere un influsso favorevole- come nella novella di Heyse.
Con i migliori saluti,
Suo devotissimo
Hoche’



Ecco la sua reazione alla notizia della morte:

‘Friburgo i. Br., 16 Aprile 1921
Distinto collega,
La ringrazio per avermi trascritto quel documento umano, del quale (per l’eventualità di una successiva auto[bio]grafia accompagnata da esempi) ho trascritto una porzione.
La cosa è d’interesse pure sotto un aspetto giuridico ultimamente non affrontato: l’assistenza al suicidio non è punibile, dato che il suicidio non è punibile. Se il marito non avesse semplicemente messo a disposizione il veleno, ma l’avesse iniettato, allora si tratterebbe di ‘Assassinio su richiesta’- con l’effetto potenziale di un paio d’anni di prigione- notevole esempio dell’incongruenza delle linee divisorie umane e legali.
Spero che Bleuler, con la sua più forte carica etica, non ne sia turbato.
Si goda della affermazione della vita nella propria famiglia, e abbia i migliori saluti dal Suo devotissimo
Hoche’



In effetti Hoche riferì davvero del caso nella sua autobiografia, in un capitolo su ‘Chi sceglie di andarsene’. Discute lì del problema del suicidio dei malati mentali, e scrive poi:

‘Gli intrecciati problemi di diritto che ruotano attorno a questo problema hanno giocato un ruolo in uno dei più inconsueti consulti a cui io abbia mai preso parte. In una clinica straniera era ricoverata una giovane donna, molto dotata, di elevati sentimenti, piena di interessi intellettuali di ogni tipo, ma condannata a essere con brevi intervelli preda di gravi depressioni con intensi stati d’angoscia; lei stessa ed il marito, che viveva nella più intima comunione spirituale con lei, furono concordi che sarebbe stato meglio porre fine alla tormentata esistenza della donna. Ai medici chiamati a consulto fu posta la domanda se questa era ancora una vita degna di essere vissuta. , ovvero se in un tempo immaginabile ci si poteva spettare un mutamento nella curva della malattia; fummo obbligati a dare una risposta negativa. La donna, che si trovava in quel momento in un intervallo di salute dal punto di vista psicopatologico, se ne andò via con il marito, avendo durante il viaggio ancora la gioia di alcuni giorni senza affanni; poi prese il veleno, procuratole da lui, e si addormentò in pace; l’aiuto dato da lui non era punibile, poiché il suicidio non è un reato penale.’

In questo contesto non si dovrebbe dimenticare che fu Hoche che nel 1920, assieme al giurista Karl Binding, aveva sostenuto la tesi della concessione della ‘Distruzione della vita indegna di esser vissuta’
La reazione di Bleuler mostra maggior partecipazione;

‘[intestazione stampata]
Prof. Bleuler
Burghölzli
Zurigo, 20.IV.21

Per il Dr. L. Binswanger, Kreuzlingen

Caro collega!
Le rimando con i più vivi ringraziamenti la lettera di West.
Il marito pare a nostro avviso aver tratto in modo terribilmente realistico le conseguenze. Che veleno aveva la paziente? Gliel’ha dato lui? L’ha osservata mentre lo metteva nel tè?. Forse Lei potrà prossimamente fornirmi ulteriori informazioni.
Ho con piacere un’altra volta letto la Sua prolusione dell’Aia. Solo su un unico punto non posso concordare con Lei: l’unione di anima e Corpo non è per me un problema metafisico, ma di scienze naturali; & quanto a quello che a Lei sembra non calcolabile, forse non ci si può nemmeno formulare una domanda sopra..
Calorosi saluti
Bleuler

1 allegato’











La reazione di Hattingberg



Hattingberg era stato informato da Binswanger dopo la dimissione, ma ancora prima della morte della paziente; ora, il 2 aprile, egli prende nella sua risposta una posizione diversa da quella della sua lettera d’invio di 3 mesi prima:

‘Caro collega!
La ringrazio di cuore per le Sue informazioni sulla Sig,ra Dr. West. Già la Sua prima lettera mi aveva reso intimamente titubante- e forse proprio per questo ho tanto a lungo rimandato una risposta; oggi devo ammettere di essermi propriamente convinto, almeno della inguaribilità. Come si debba chiamare la cosa è un problema teorico davvero enormemente interessante e importante, che non si può discutere fino in fondo. Probabilmente si dovrebbe però parlare di un ‘Processo’, in ogni caso di uno sviluppo irreversibile (mon riesco a veder i due tipi di decorso in modo così fondamentalmente distinto come oggi si è soliti). Credo oggi di sapere che il mio tenermi fermo alla nevrosi ossessiva guaribile debba essere in misura non trascurabile spiegato tramite il mio interessamento personale , straordinariamente intenso, per la paziente. Io volevo aiutare, e dovevo ragionare così. Mi è capitato come a Wetzel di Heidelberg, che escluse la schizofrenia di una paziente maniacale (molto amabile e carina) con le parole: “Ah, una ragazza sveva così bella non può essere una catatonia”.
Mi dispiace davvero molto per il marito, che così ne viene distrutto. Credo che lei non continuerà a vederlo per molto. Devo essermi molto illuso. Da come l’ho conosciuto, lui non le farà delle difficoltà- e anch’io mi comporterei così- disastro su disastro- ma temo che Lei abbia proprio ragione. Abbastanza di questo- non si può cambiare nulla.
La Sua prima lettera ha risvegliato in me il desiderio di poterLa una volta poter vedere per più tempo e in tranquillità- se non fosse per i cinque bambini, che determinerebbero enormi spese di viaggio, capiterei sicuramente da Lei una volta, mi farebbe sicuramente piacere conversare a lungo con Lei. Mi ha molto interessato quello che Lei dice sulle nevrosi coatte- collima con le mie esperienze. Soprattutto la psicoterapia! Mi trattengo attualmente dall’esprimermi apertamente su molte questioni per rispetto al padre Freud.
































Albrecht Hirschmüller


Da Tre terapie e il loro fallimento di Albrecht Hirschmüller, in Albrecht Hirschmüller (a cura di), Ellen West - Eine Patientin Ludwig Binswangers zwischen Kreativität und destruktivem Leiden , Asanger Verlag, 2003, pag. 13-78



(trad. Giacomo Conserva)



Introduzione



Nel 1921 Ludwig Binswanger ebbe in cura nella sua Casa di Cura privata Bellevue di Kreuzlingen per la durata di tre mesi una giovane donna di cui 23 anni dopo pubblicò la storia clinica sotto lo pseudonimo di ‘Ellen West’. Il suo studio, lungo in tedesco 136 pagine, espone la storia clinica per poi discuterla alla luce dei concetti teorici dell’Analisi Esistenziale- la commistione genuinamente binswangeriana di psicanalisi e filosofia dell’esistenza. Si può dire che questo caso fu paradigmatico per l’analisi esistenziale.
Vorrei esporre questo caso, e la visione di Binswanger, avendo in mente una domanda: se il corso del processo morboso e del trattamento di questa paziente e il processo diagnostico ebbero qualcosa a che fare con il Transfert, e come il rapporto medico-paziente ha interagito con diagnosi e comprensione teorica. Procederò a questo fine in quattro passi: Nella prima parte riassumerò quanto noi sappiamo di Ellen West sulla base del testo originario di Binswanger; Nella seconda presenterò del materiale non pubblicato proveniente dalla originaria cartella clinica, che getta nuova luce sul corso del trattamento; Nella terza, sulla base di nuove fonti recentemente scoperte lascerò parlare le voci della paziente, del marito, dei vari curanti; Nella quarta cercherò di discutere quali domande questi nuovi documenti fanno sorgere, e se essi danno qualcosa di nuovo per la comprensione del processo diagnostico e della storia clinica.






1. La paziente nella visione di Binswanger.



Ludwig Binswanger e l’analisi esistenziale



Ludwig Binswanger nacque nel 1881 a Kreuzlingen. Il suo nonno, Ludwig Binswanger senior (1820-1880), aveva fondato la ‘Bellevue’ avendo in mente una piccola clinica privata, basata su un trattamento famigliare e socioterapeutico; Suo padre, Robert Binswanger (1850-!910), aveva continuato a svilupparla dopo la morte di questi, aprendola a ai nuovi concetti psicoterapici- il trattamento basato sulla suggestione proveniente dalla Francia, il metodo catartico da Vienna, la giovane psicanalisi. Anna O., la celebre paziente di Breuer, passò nel 1882 alcuni mesi alla Bellevue. In seguito Breuer e Freud continuarono a indirizzarvi pazienti, dato che secondo loro ‘Le condizioni di quell’istituto sembravano di gran lunga le migliori’ (così scrive Breuere nel 1881, l’anno di nascita di Binswanger, pregando per la prima volta di poter ricoverare a Kreuzlingen la prpria paziente Bertha Pappenheim, Anna O.).
Non c’è da stupirsi che Ludwig Binswanger sia cresciuto immerso in questo mondo- rappresentatoci da Gerhard Fichmer nella sua introduzione all’epistolario fra Sigmund Freud e Bnswanger. Già molto prima della fine del Liceo aveva deciso di sudiare Medicina, per diventare psichiatra e successore di suo padre.Dal 1900 al 1906 studiò a Losanna, Zurigo, Heidelberg e poi di nuovo a Zurigo, ove trovò in Eugen Bleuler, al Burghölzli, il maestro decisivo. Scrisse la tesi con Carl Gustav Jung- utilizzando non solo i test associativi di Jung ma anche la persona del padre medico come oggetto di ricerca. Bisogna considerare che dell’equipe edica del Bughölzli facevano allora parte Karl Abraham, Franz Riklin, Max Eitington e Hermann Nunberg- cioè, a parte Bleuler e Jung, tutta una generazione di giovani psichiatri e psicanalisti della prima ora. Dopo la specializzazione Ludwig Binswanger lavorò per oltre un anno con suo zio Otto Binswanger nella Clinica Psichiatrica Universitaria di Jena. Nel 1908 entrò come collaboratore nell’istituto del padre; nel 1910, dopo la morte improvvisa di costui, ammalato di cuore, egli-non ancora trentenne- dovette assumere la direzione della clinica. In Sigmund Freud egli trovò un secondo importante maestro, dopo Eugen Bleuler. Freud vide nella Clinica Bellevue, che si apriva alla psicanalisi, una istituzione esemplare che sembrava appropriata per costruire nella psichiatria tedesca una credibilità ai concetti psicanalitici. Il rapporto personale rimase intatto fino morte di Freud- non si giunse a una rottura come con altri suoi discepoli, per quanto Binswanger si sviluppasse dal punto di vista intellettuale e teorico in modo assolutamente difforme da Freud. Egli rimase per parte sua leale, e non cercò di distanziarsi dalla psicanalisi- almeno durante la vita di Freud. Una stretta amicizia personale, ben chiara nello scambio di lettere, fece passare sopra molte differenze oggettive.
In contrasto a Freud Binswanger era attirato dalla filosofia, e egli lottò tutta la vita per un fondamento filosofico della psicanalisi, per una ‘Psicologia Generale’.Questi problemi di base egli li discusse di persona e per lettera con filosofi e psicologi, artisti e medici. L’Archivio-Binswanger conserva scambi epistolari con Martin Heidegger e Edmund Husserl, Karl Jaspers, Ernst Cassirer, Otto Friedrich Bollnow, Martin Buber e Paul Häberlin, con Walter Schulz, Eduard Spranger, Wilhelm Szilasi, Wolfgang Schadenwaldt, Erwin Straus, Victor von Weizsäcker e molti altri. Il suo sistema maturò negli anni venti e trenta; nella discussione su un saggio dell’ottobre 1942 intitolato ‘La conoscenza del Dasein’ lo psichiatra Jakob Wyrsch per la prima volta chiamò ‘analisi esistenziale’ il modo di procedere di Binswanger. Nello stesso anno egli pubblicò ‘Grundformen und Erkenntnis menschliches Daseins’ (‘Forme base e conoscenza dell’esistenza umana’), il suo capolavoro- in cui portò a una conclusione preliminare la sua elaborazione teorica della fenomenologia sviluppata da Husserl e Heidegger e della sua fruttuosità per la psichiatria. Si dedicò allora di nuovo al materiale clinico accumulato, e al caso di Ellen West, da lui trattata 20 anni prima.





La storia clinica di Binswanger


La paziente, 34enne al momento dell’ingresso nella Clinica Bellevue, era sposata e senza figli, di origine ebraica, figlia di un padre abbastanza formale, un uomo chiuso, dedito all’azione e volitivo; fra i parenti di questi vi erano state non poche persone psichicamente malate, e figlia di una madre debole, influenzabile, angosciata e a volte depressa.
La paziente fu presto una bambina difficile. A 9 mesi di età rifiutò il latte, e si dovette nutrirla con brodo di carne. Era testarda e ostinata, e non si lasciava smuovere dalle convinzioni cui era giunta. A scuola era ambiziosa, assolutamente decisa a primeggiare. ‘Aut Caesar aut nihil’era il suo motto. Iniziò a comporre poesie; si sentiva chiamata a compiere qualcosa di straordinario; si interessava alle questioni sociali e lodava la benedizione del lavoro. Poesie e annotazioni di diario la mostrano a volte esultante fino alle stelle, a volte profondamente depressa e con la paura di finire in manicomio. Quando ha 20 anni fa un viaggio oltremare- ove era nata- per curare il fratello maggiore gravemente malato, e si fidanza là con un ‘romantico straniero’, ma su desiderio del padre rompe il fidanzamento. In seguito sviluppa una massiccia ansia di ingrassare, e comincia a torturarsi con digiuni. Nel diario si trovano frasi come ‘E ogni giorno divento un po’ più grassa, più vecchia, più brutta’. ‘Se mi farà aspettare ancora a lungo, la grande amica, la Morte, mi metterò in moto io e andrò a cercarla’,- ma altrove sono presenti energia e motivazione: ‘Tutto questo ribolle e palpita in me, sento che sta per rompere ciò che lo trattiene! Libertà! Rivoluzione!’, scrive. ‘Non farò concessioni’, sono ‘una donna dal cuore palpitante’ e così via. Ellen inizia i preparativi per l’esame di maturità, si alza alle 5, cavalca per tre ore, poi riceve lezioni private e lavora tutto il pomeriggio e la sera fino a notte fonda con l’aiuto di caffè caldo e lavaggi con acqua gelida. Quando ha 23 anni c’è un collasso, dopo una spiacevole storia d’amore con un maestro di equitazione. Rinuncia alla progettata maturità, sostiene invece un esame per l’insegnamento e può a 23 anni iscriversi all’università. Conosce uno studente, si innamora di lui, si fidanza; e di nuovo i genitori esigono una separazione. Cerca in tutti i modi di diventare il più magra possibile, e prende enormi dosi di ormone tiroideo. Dopo un viaggio oltremare rinuncia effettivamente al fidanzamento. Alcuni mesi dopo si occupa di lei un cugino, che lei comincia ad amare. Per due anni oscilla fra lo studente ed il cugino, finchè a 28 anni si decide per quest’ultimo. Al momento del matrimonio pesa 72 kili e mezzo, ma subito dopo il viaggio di nozze perde rapidamente peso. Tre mesi dopo, le mestruazioni si arrestano. Si giunge ad una forte emorragia, ed il ginecologo constata un aborto. Di nuovo la paziente prende a torturarsi, assume lassativi e vomita, mentre fa scomparire il cibo e si attacca pesi alla cintura. Prende 60-70 compresse di lassativo al giorno e riesce a scendere a 45 kilogrammi. ‘E serena, d’altra parte, e la sua tranquillità è garantita dal fatto che i suoi amici si prendono cura di lei.
A 32 anni e mezzo la paziente per la prima volta inizia una vera e propria psicoterapia con ‘un giovane ed acuto psicanalista, non seguace incondizionato di Freud’, come scrive Binswanger. Torna a sperare, frequenta conferenze, teatro e concerti, fa delle escursioni, ma è molto irrequieta e di nuovo si spinge troppo in là. Presto ritiene inutile la psicanalisi. Binswanger cita da una lettera a suo marito: ‘Il vedere di quando in quando emergere all’orizzonte la favolosa, dolce regione della vita, l’oasi nel deserto che mi sono creata, non fa che rendere più penoso il cammino. A che serve infatti? Resta un miraggio e di nuovo sparisce. Era più facile prima, quando tutto era grigio intorno a me. Quando nient’altro volevo che essere malata e giacere in un letto. Adesso vorrei esser sana- e non voglio pagarne il prezzo. Spesso questo conflitto mi getta completamente a terra, questo conflitto che non ha mai fine, e dopo la seduta da (lo psicanalista) torno a casa disperata con la consapevolezza che egli può farmi conoscere il mio stato, ma non guarirmi’.
Le poche informazioni date da Binswanger su questo primo trattamento psicanalitico mostrano con tutta chiarezza il problema della paziente: Può pensare e conoscere, ma non sviluppa transfert, non riesce a dare collocazione ai suoi desideri, alle sue tempeste emotive. In questa fase critica, dopo soli sei mesi l’analisi si conclude ‘per motivi esterni’. Di che ‘motivi esterni’ si trattò? Una malattia, un trasferimento dell’analista? Il testo di Binswanger mantiene il silenzio su questo evento. Ci torneremo sopra più tardi.
La reazione di Ellen è in ogni caso molto forte, ha gravi stati di angoscia e di agitazione, salta pasti interi per gettarsi poi con maggiore avidità e senza distinzione su qualsiasi cibo. Non riesce a superare i pianti, l’angoscia e l’agitazione, e non si riesce più a calmarla. All’inizio di ottobre, tre mesi dopo la fine del primo trattamento, inizia una analisi per la seconda volta. ‘Il secondo analista è più vicino del primo alla analisi ortodossa’.
Su sollecitazione dell’analista, il marito lascia la città. Due giorni più tardi la paziente effettua un tentativo di suicidio con sonniferi. L’analista non attribuisce alcun significato a questo tentativo, e prosegue l’analisi. Per il resto Ellen è abbandonata a sé stessa e vagabonda per le strade piangente e senza progetti. Il 7 novembre segue un secondo tentativo di suicidio; in seguito altri ancora, finchè il 12 novembre entra in una clinica internistica.
Su consiglio dell’analista inizia nuovamente a tenere un diario. Dalle sue annotazioni Binswanger cita più tardi: ‘Quando tento di analizzare tutta questa faccenda, non ne viene fuori che teoria. Un almanaccamento. Sentire, mi riesce soltanto di sentire l’inquietudine e l’angoscia. […] Nell’analisi abbiamo dato questa spiegazione: nel mangiare io cerco di soddisfare due cose- la fame e l’amore. La fame viene appagata- l’amore no! Resta il gran buco non riempito.’
Queste e altre osservazioni mostrano con evidenza che avviene qualcosa di simile a quanto si era verificato nel primo trattamento: la terapia resta a livello cognitivo, resta un costrutto. Dal punto di vista delle emozioni non capita praticamente nulla. ‘L’analisi è stata una delusione. Ho analizzato con la ragione, e tutto è rimasto teoria’. Anche nella clinica la paziente perde peso, e per l’internista che l’ha in carico la situazione diventa troppo esplosiva. All’inizio di dicembre si consulta un celebre psichiatra, che fa diagnosi di malinconia. A questo punto c’è un conflitto fra i vari medici sul tipo di trattamento indicato. L’analista consiglia l’uscita dalla clinica e la prosecuzione dell’analisi, l’internista e lo psichiatra sostengono una prosecuzione del ricovero, la paziente è sospesa nel mezzo, ‘prigioniera di una rete da cui non riesco a liberarmi’. La pausa natalizia viene usata dall’internista per un intervento deciso: proibisce la prosecuzione dell’analisi e consiglia il trasferimento alla Clinica Bellevue- che ha effettivamente luogo il 13/14 gennaio.
Si può riassumere in breve quanto avviene alla Bellevue. Ci resta 2 mesi e mezzo, viene indagata con cura, il marito resta con lei, annota sogni e espressioni in stato crepuscolare, si riaffida al medico. ‘Dimostra un particolare animosità nei riguardi della psicanalisi. Per contro il marito riferisce che la moglie si è fatta analizzare molto volentieri e che non si è ancora staccata del tutto dal (secondo) analista’. Per Binswanger si trattava soprattutto di giungere a una diagnosi definitiva. Egli chiese alla paziente e a suo marito di elaborare una anamnesi accurata. Il marito su richiesta del medico mette insieme una documentazione sull’argomento ‘Suicidio’. Il desiderio di morire percorre tutta la vita della paziente. Nella storia clinica Binswanger trascrive le annotazioni sui sogni. Lapidariamente osserva nel testo pubblicato:’Per motivi psicoterapeutici non ha avuto luogo una analisi dei sogni’.
Nel saggio di Binswanger si legge: ‘Peso all’uscita quasi identico a quello all’ingresso, cioè 47 kili e mezzo’. La cartella clinica originale documenta però qualcosa di diverso. all’ingresso la paziente pesava 53 kilogrammi. Venne pesata tutte le settimane, e per tre settimane il peso restò praticamente costante. Si ha poi una interruzione nella regolare serie di annotazioni in cartella, e il 24 marzo il peso risulta calato di 6 kilogrammi. ‘E come se nel frattempo sia capitato qualcosa, che ha tolto alla paziente le ultime energie. In effetti in questa giornata ha luogo un consulto con Bleuler ed un secondo psichiatra (tedesco). Così Binswanger riferisce dei motivi e degli antecedenti di questo consulto:
Di fronte al crescente pericolo di suicidio, non ci si poteva più assumere alla lunga la responsabilità di tenere la malata nel reparto aperto. Dovetti porre al marito l’alternativa o di dare il suo consenso al trasferimento della moglie nel reparto chiuso o di lasciare con lei la casa di cura. Il marito, persona assai intelligente, si rendeva perfettamente conto della situazione, ma dichiarò di poter dare il suo consenso soltanto se era possibile promettergli la guarigione o almeno un sostanziale miglioramento della moglie. Poiché, in base all’anamnesi e alle osservazioni da me condotte, avevo dovuto formulare la diagnosi di una psicosi schizofrenica ad andamento progressivo (Schizophrenia simplex), non potei dare al marito che ben poche speranze. (Se allora fosse già esistita la terpia di shock, avrebbe certamente offerto una momentanea via d’uscita da quel dilemma dilazionando in una certa misura l’esito finale, ma certo non avrebbe potuto affatto cambiarlo). Essendo poi chiaro che il dimettere la malata dalla casa di cura significava sicuramente il suo suicidio, dovetti consigliare al marito, in considerazione della sua responsabilità, di non fondarsi unicamente sul mio giudizio,- per quanto fossi sicuro del fatto mio- ma di ricorrere d un consulto a tre coll’intervento del prof. Bleuler e di uno psichiatra straniero, non aderente alla teoria di Bleuler e Kraepelin sulla schizofrenia. […] Risultato del consulto: entrambe gli specialisti condivono completamente la mia prognosi e ancor più radicalmente di me non ravvisano alcuna utilità nel tenere in clinica la malata. […] Tutti e tre siamo d’accordo nello stabilire che non si tratta una nevrosi coatta, né di una psicosi-maniaco-depressiva e che non è possibile alcun trattamento di sicura efficacia. Perveniamo pertanto alla conclusione di assecondare l’urgente desiderio della malata di esser dimessa.’
Il 30 marzo la paziente lascia la clinica e con il marito torna a casa. Per la prima volta da molti anni mangia tanto da sentirsi pacificata e sazia dopo l’assunzione del cibo. Fa una passeggiata con il marito, legge poesie d Rainer Maria Rilke, Theodor Storm, Johann Wolfgang von Goethe e Alfred Tennyson, la sera è in una disposizione d’animo festosa, scrive lettere d’addio e alla presenza del marito assume la dose mortale di veleno. Il mattino successivo è morta. ‘Apparve allora- come mai nella sua vita- quieta e felice e in pace con sé stessa’.
Come interpreta questo caso Ludwig Binswanger, come rappresenta sé stesso alla luce dell’analisi esistenziale?Binswanger non si contenta di portare alla luce la motivazione psicologica del suicidio: ‘L’analisi esistenziale non può fermarsi al giudizio psicologico secondo cui il motivo che rende comprensibile il suicidio di Ellen West sarebbe la sofferenza derivante dal suo tormento.[…] Considerandolo alla luce dell’analisi esistenziale, il suicidio di Ellen West si configura tanto come un ‘atto dell’arbitrio’ quanto come un evento necessario’. Entrambe le asserzioni si fondano sul fatto che la presenza [Dasein] nel caso di Ellen West era diventata matura per la sua morte, in altri termini che la morte, questa morte, costituiva il necessario adempimento del senso della vita proprio di questa presenza.’ ‘ Nella sua morte, con particolare pregnanza scorgiamo il senso esistenziale o più esattamente il controsenso della sua vita. E questo senso non era quello di essere sé stessa ma, al contrario, di non essere sé stessa.’




La ricezione del testo di Binswanger


Questo studio di Binswanger ha trovato un’eco ampia e controversa. Egli stesso l’ha visto come paradigmatico, e a questo modo di vedere si sono uniti parecchi aderenti all’analisi esistenziale. Helmut Thomä tratta il caso nel suo libro sulla anoressia e vi indaga lì la cosiddetta ‘svolta copernicana dell’analisi esistenziale’. Egli avanza una critica: con il postulato che l’analisi esistenziale si deve spingere, al di là del livello ‘ontico’ collegato a un paziente singolo, verso le strutture ‘ontologiche’ retrostanti, viene di fatto limitato il chiarimento della psicologia del conflitto. Trova degno di nota ‘il fatto che l’interpretazione di Binswanger del caso ‘Ellen West’ si poggia in primo luogo sulle produzione letterarie, poesie e diari della paziente.’
Parecchi esaltano in modo speciale la capacità di empatia mostrata da Binswanger. D’altra parte il saggio di Binswanger è stato criticato per avere minimizzato ovvero glorificato il suicidio della paziente. Carl Rogers esprime la propria ribellione contro il corso del trattamento, ma anche la sua speranza che con gli attuali mezzi psicoterapeutici si sarebbe potuto aiutare questa paziente. John T. Maltsberger parla di ‘suicidio permesso’ e discute l’odio nel controtranfert. Lester parla, a proposito di quanto compiutosi qui, di ‘psychic homicide’, omicidio mentale. . Dal punto di vista femminista si è dipinto il caso sotto il concetto di un diasturbo alimentare (anoressia nervosa o bulimia), e analizzato corrispondentemente la malattia come problema collegata ai ruoli sessuali. In questa tradizione, Liliane Studer vede Ellen West come una donna ‘che non vuole farsi controllare dalle rappresentazioni che i maschi della sua epoca hanno del ruolo della donna e di cosa può attendersi’, come una vittima ‘dello strapotere maschile’. Lamenta che la paziente stessa non si esprima in modo più evidente nel testo di Binswanger, e comprensibilnente deplora di non avere accesso alla documentazione clinica originale. Recentemente si è criticato il supposto ricorso da parte di Binswanger nelle sue storie cliniche a stereotipi razzisti, e lo si è pertanto accostato a filosofi e psichiatri vicini al nazismo.
Il caso è stato pure ripreso da poeti e scrittori di teatro. Adrienne Rich e Frank Bidard hanno pubblicato delle poesie, Kristine Hersch ha scritto una canzone su Ellen West, e alla Casa del Teatro di Vienna si sta rapprsentando un pezzo di Andreas Staudinger sul caso.
Parecchi si sono lamentati della non disponibilità della storia clinica originale, dalla quale ci si potrebbe aspettare una più grande autenticità, una più approfondita conoscenza della paziente e maggior vicinanza temporale agli avvenimenti. Ci si può quindi rallegrare del fatto che questa cartella clinica è ora a disposizione della ricerca scientifica.







2. La cartella clinica di Kreuzlingen



La cartella clinica, nell’Archivio della Casa di Cura Bellevue, consta di circa 23 elementi diversi:

- quattro pagine, accuratamente riempite a mano da Ludwig Binswanger, di modulario con anamnesi famigliare e personale ed esame obiettivo;
-una suddivisione per giornate di degenza e una tabella del peso;
-un manoscritto della paziente, di 2 pagine, incompiuto, ‘Racconti sull’origine del mondo’(1908);
-8 lettere del marito, 2 della madre e 8 di altri medici;
Completamente assenti sono note di Binswanger, una descrizione del decorso del ricovero o una epicrisi.
Il ‘primo analista’, interrogato nel 1943 da Binswanger sul conto della paziente (si trattava di Viktor von Gebsattel) si rammentò immediatamente di lei, sebbene non avesse conservato alcuna annotazione. La sua lettera, scritta oltre 20 anni dopo il trattamento psicanalitico, dà una valutazione a posteriori, fredda e distanziata, e non dedica nemmeno una parola alla prematura conclusione dell’analisi. Egli lasciò libero Binswanger di fare o non fare il suo nome.
Più significativo, perché più vicino agli avvenimenti, il resoconto sulla situazione della paziente indirizzato il 13-1-1921 a Binswanger dal ‘secondo analista’, Hans von Hattingberg:



‘[intestazione a stampa]
Dr. v.Hattingberg
Specialista in Psicoterapia,
Disturbi Nervosi e dell’Umore
Ainillerstr. 32/II. Tel. 32822

Caro Collega,
Le invio un po’ ‚nolens volens’ una paziente, la Sig.ra Ellen West, che nel frattempo Le è stata indirizzata dal Consigliere Segreto Romberg, un caso che mi sta straordinariamente a cuore, dato che la Sig.ra West è una vecchia amica della mia famiglia, e mi è personalmente vicina. ‘Nolens’ perché la prematura interruzione dell’analisi è stata determinata da una combinata opposizione del marito, del Cons. Segreto Romberg, di Kraepelin ( il quale ha posto come diagnosi un disturbo maniaco-depressivo ovvero malinconia- su questo di più successivamente)- ma di base per via della resistenza della paziente stessa, la cui non comune intelligenza presto Lei imparerà a conoscere. Ho motivi molto validi per sostenere che si tratta qui di una resistenza transferale- la paziente non sapeva fare i conti con il transfert, già da tempo noto, chiaramente riconoscibile nei sogni e nella vita di tutti i giorni. ‘Volens’ perché a nessuno preferirei affidarla piuttosto che a Lei.
Ho pertanto subito dato il mio consenso, quando- al mio ritorno da una vacanza natalizia di 10 giorni- mi fu fatta la ‘proposta’ di interrompere l’analisi e avere invece un ricovero in una clinica- nella Sua clinica, come Romberg aveva proposto alla paziente. In effetti la paziente, che controlla totalmente il marito (come pure del resto Romberg ed i suoi Assistenti), senza naturalmente esserne consapevole, aveva già preso la decisione quando mi sottopose la proposta.
[Segue una esaustiva illustrazione della storia clinica.]
All’inizio di novembre, dopo che nel frattempo si era ottenuto un certo miglioramento, vi furono in presenza del marito ripetuti tentativi suicidari, cui si aggiunse un lieve stato crepuscolare isterico, in cui si scagliò furiosa contro l’analisi e contro di me, questo tipo subdolo che voleva spingerla a continuare questo schifoso simulacro di vita. […]
Il transfert fu allora così evidente che una volta in modo del tutto improvviso lei mi si sedette in grembo e subito mi diede un bacio,- il che era estremamente inusuale, non ostante il nostro amichevole rapporto (non ho bisogno di chiederLe di mantenere il silenzio su questo episodio-). Dall’inizio di dicembre l’analisi cominciò ad arenarsi- ci avvicinavamo sempre più al complesso paterno, che però si potè trattare solo perifericamente. Chiarì a sé stessa che le sua idea ossessiva esprimeva il rifiuto del tipo paterno (=ebraico)- non sono giunto fino alla scoperta del desiderio incestuoso- anche dai sogni non si potè trovare alcun aggancio. Poco tempo prima delle mie vacanze natalizie cominciò a diventare più depressa, e, come ho scoperto più tardi, a sostenere nella clinica che l’analisi la sconvolgeva. L’ho vista l’ultima volta prima delle vacanze natalizie quando con lei e suo marito sono andato a un incontro in cui parlava Stark. Si sedette direttamente dietro di me, e vistosamente quasi mi si incollò addosso, cosa che temo il marito abbia notato.
Al mio ritorno, la decisione come ho detto era già presa. Venne la prima volta con il marito nell’ora di analisi, e gli chiese di rimanere presente, per quanto lui volesse ritirarsi.- La volta successiva, venuta da sola, le sue prime parole furono che avrebbe voluto appoggiare la testa sulle mie spalle, e che io le dicessi ‘Ellen, bambina’.
Tutti questi comportamenti li ho interpretati come resistenza transferale. Lei ha accolto le mie parole senza reagire- ‘Sì- le cose potrebbero esser viste così’.
Dall’inizio alla fine comunque non mi sono contrapposto frontalmente al suo progetto, non ostante questa interpretazione, dato che avrei dovuto combattere contro un esercito formidabile (Kraepelin, Romberg, il suo Assistente, il medico di famiglia). Quale ruolo suo marito abbia giocato in questo non mi è del tutto chiaro. La mia sensazione è che senza saperlo egli fosse molto a favore del cambiamento- già la sera da Stark rende comprensibile la cosa. Il ruolo del marito porrà naturalmente dei problemi anche a Lei. A suo tempo io non sono riuscito a tenerlo fuori, e adesso vorrei averlo fatto. Naturalmente non Le suggerisco nulla- ma io ritengo che non ostante la sua totale dipendenza dalla paziente abbia una certa influenza- nel senso di rafforzare in modo inconsapevole le oscillazioni depressive. In ogni caso egli mi ha non una volta soltanto ma più volte posto la domanda se ritenevo possibile una guarigione- se non sarebbe stato meglio dare del veleno alla paziente. Si è sempre interamente sottomesso a lei durante le fasi di depressione grave- anche se è assolutamente convinto che lei non l’abbia affatto notato. Lei d’altra parte vede dentro con molta chiarezza a ‘Karl, quel buon ragazzo’, e sa pure con certezza che egli dubita della guarigione.
[…]
La paziente viene da Lei certo non nell’attesa di continuare la psicanalisi.- Se per caso Lei dovesse cominciarne una, potrei pregare di non scordare che non ha mai voluto saper nulla del transfert, come pure nulla del mio punto di vista riguardo al marito.- Qui la nostra vecchia conoscenza può essere stata d’intralcio. La Sig.ra W. mi ha visitato ancora ieri un’altra volta- voleva venire tutti i giorni, ma Romberg non lo permette- con le parole: tornerò solo da guarita- con lei non posso essere malata- e allora faremo insieme qualcosa di piacevole. Le ho, caro Collega, illustrato così dettagliatamente le mie osservazioni perché il caso mi sta molto a cuore. Più che del problema di prestigio rispetto a Romberg e Kraepelin mi preoccupo del successo finale della cura- si deve poter aiutare questa donna.- Come Lei lo farà mi è indifferente- se dopo qualche mese me la rimanderà, o se continuerà Lei l’analisi fino alla conclusione- la paziente deve guarire.
[…] In ogni caso stia bene, e scriva presto al Suo devoto

Hattingberg’


La lettera è un documento notevole, nel suo documentare in modo terrificantemente chiaro il naufragio di un trattamento analitico, e nel farne sospettare il motivo: un transfert sessualizzato non riesce a venire elaborato nella relazione terapeutica, ma viene portato ed agito all’esterno. La paziente non si sente davvero accolta e sostenuta dall’analista: ‘Tornerò solo da guarita- con lei non posso essere malata- e allora faremo insieme qualcosa di piacevole’.
La storia clinica di Kreuzlingen contiene oltre alle lettere dei medici alcune lettere del marito, in cui egli riferisce in modo dettagliato degli ultimi giorni di vita della paziente e delle circostanze del suicidio (vedi sotto). Vi sono pure lettere successive fra Karl West e Ludwig Binswanger. Karl mantenne per molti anni il contato con la Bellevue, di tanto in tanto fece vista a Binswanger, chiese la sua mediazione per una residenza per le vacanze e gli inviò auguri per i compleanni importanti.





I diari di Ludwig Binswanger


Ci si può chiedere se Ludwig Binwanger ha menzionato la paziente nei suoi diari, che si trovano nell’Archivio della famiglia Binswanger. Si scopre però che i diari danno solo scarsi cenni sul trattamento di Ellen West nel 1921. Riproduciamo qui i brani in cui vengono nominati lei od il marito:

‘7.2.1921:
Con Hertha Variazioni Goldberg. Il Dr. West, distinto violoncellista, sonata di Brahms in mi-minore, Beethoven opera 5 n. 1.-

17.2.1921:
Fatto musica con il Dr. West, la Sig.ra G [un’altra paziente].

24.3.1921:
Consulto Hoche- Bleuler incontra West.

30.3.1921:
West e Signora partiti. Il caso West e il suicidio del Sig. L. [marito di una ricoverata] con la comunicazione alla moglie gli avvenimenti più coinvolgenti di questo periodo.’


Non viene menzionata la morte di Ellen West.
In modo più chiaro si può seguire dai diari il processo di elaborazione del saggio di Binswanger.


’12.5.1942:
Al mattino visita generale, al pomeriggio a Münsterlingen, dove Kuhn ha presentato un interessantissimo caso di madre e figlio. Acqua per il mio mulino, dato che la madre per lunghi anni mostrò solo ‘difetti morali’ (menzogne, prodigalità, alcool) e solo nel corso di due decenni ebbe un indementimento schizofrenico. Già da tempo ho in simili ‘difetti’ in un carattere per il resto senza disturbi, anzi normalissimo, riconosciuto una schizofrenia iniziale (simile il caso West, con l’incontrollabile avidità di cibo, solo che lei soffriva enormemente di questa situazione).

17.3.1943:
[…] per quanto io adesso lavori molto (storie cliniche e schizofrenia). Ripreso con grande interesse il caso West.



1.4.1943:
Sono tutto dedito a studiare le storie cliniche. Dopo le schizofrenie paranoidi e catatoniche ho approfondito anche quelle poliforme e le nevrosi ossessive. Ne imparo molto.

11.5.1943:
Cominciato a scrivere il caso Emma [sic] West.

22.5.1943:
[…] proseguo il caso […] (Esther [sic] West), mi interessa molto. Ho un grande desiderio di leggere, p.e. ho letto ultimamente:
Daudet, La petite chose, lettres de m[on] m[oulin].
George Sand, La petite Fadette, tutto incantevole a modo suo.
[Pierre] Loti, Mon frère Yves, mentre nella biblioteca di Bobis, che ora ho accolto presso di me.

15.6.1943:
Lavorato molto al caso Ellen West e letto drammi storici.

1.8.1943:
Lavoro al mio Ellen West. Attraverso la finestra aperta giunge il canto di ‘Ruhst du mein Vaterland’, rane gracidano, è terribilmente caldo. Cosa ci porterà il prossimo futuro?

30.8.1943:
[Vacanze:] La prima settimana passata molto in fretta . Tempo mutevole, fulmini e poi più bello. Non fatto grossi giri. Lavorato un po’, soprattutto letteratura per Ellen West. Letto molto l’Odissea, la mia unica lettura, anche se è la terza volta che la leggo passo da uno stupore e una meraviglia all’altra.

2.9.1943:
Ieri a Scheidegg in ferrovia e ritorno a piedi. Stupendo cielo senza nuvole.- In questi giorni molto lavorato a Ellen West (la temporalità).

11.9.1943:
Non andato, troppo stanco per andare, quindi felicemente terminato la sezione ‘Analisi esistenziale e psicanalisi’, estremamente difficile.

15.9.1943:
Lavorato martedì, iniziato la parte psichiatrica di Ellen West, l’ultima parte!
2.10.1943:
Sto scrivendo la mia Ellen West, sopra di me tutto il tempo rombo di aereoplani e forte fuoco antiaereo da Friedrichshafen.

16.11.1943:
Terminato lo studio su Ellen West dopo molteplici rielaborazioni e rimaneggiamenti. Probabilmente adesso toccherà al caso Zünd. Riletto il Fedone, adesso passo allo sconvolgente Carmide.

28.3.1943:
Passeggiata con Emil [Staiger] alla Thur. La sua critica di Ellen West (non aggiungere nulla al libro, evitare Sé, immagine del mondo). ‘E l’unico da cui posso apprendere per le mie opere.

14.9.1956:
Terminato con fretta ed eccitazione la premessa ad Ellen West.’


Da questi brani di diario si vede come Binswanger, stimolato da Kuhn, a partire del 1941 si occupò dei casi in grado di illustrare la sua concezione della schizofrenia. Si vede in quali letture e in quali avvenimenti politici del 1943 sia inserita l’origine del caso. Si notano pure le diverse oscillazioni di Binswanger nella scelta dello pseudonimo. Il cognome fu presto fissato- pensava forse a Rebecca West, il personaggio di ‘Rosmersholm’ di Ibsen, da lui tanto ben conosciuto?- ma nel nome passò da Emma e Esther a Ellen.
Anche i documenti di Kreuzlingen lasciano comunque aperte parecchie domande. Quale materiale utilizzò Binswanger, a parte quello che si trovava nelle proprie cartelle cliniche? Nell’anno successivo alla morte della moglie Karl West aveva messo insieme un libro con brani di lettere e diari, ed esso venne per alcune settimane nel 1923 lasciato a Ludwig Binswanger dai genitori della paziente, in vacanza nel Ticino. Binswanger deve averne fatto delle trascrizioni, da lui successivamente utilizzate per la sua pubblicazione, ma non si sa dove queste si trovino. Potrebbe forse quel libro, potrebbero le lettere ed i diari essere da qualche parte rimasti nell’originale, e come si potrebbe entrarne in possesso? In ogni caso sembrava che il marito fosse riuscito a emigare per tempo dalla Germania nazista.








3. Il fondo postumo di Ellen e Karl West



‘E stato in effetti possibile riuscire contattare un figlio del marito. Davanti alle nostre richieste, questi ha risposto di sapere del caso Ellen West; suo padre aveva preservato alcuni documenti, li avrebbe cercati nella propria vecchia abitazione, e avrebbe pure interrogato sull’argomento la propria sorella, attualmente oltremare. Dopo alcuni mesi giunse la risposta che alcuni documenti erano andati persi a causa di un allagamento; aveva comunque trovato qualcosa nella propria cantina; suo padre aveva in effetti prima della morte disposto che alcuni documenti fossero distrutti. Egli comunque aveva deciso assieme alla sorella di non distruggere documenti di interesse scientifico. Dopo alcuni altri mesi potei fargli visita, e quello che mi mostrò fu stupefacente.

- Un libro rilegato con brani di lettere e diari della paziente, di 552 pagine scritte a macchina; questo libro era stato messo insieme dal marito nell’anno dopo la morte della paziente, e era stato rilegato in poche copie.

- Una storia della malattia di Ellen West, redatta dal marito durante il soggiorno a Kreuzlingen, 44 pagine scritte a macchina, incluso un breve testo autobiografico della paziente dal titolo ‘Storia di una nevrosi’, scritto nel dicembre 1920.

- Una cartella contenente lettere di condoglianza, fra cui quella di Binswanger.

- Diari della paziente e del marito risalenti al periodo della cura, che rappresentano gli avvenimenti dal punto di vista di allora (spesso giorno per giorno), e ripoducono i sogni della paziente, i suoi tentativi di interpretazione e quelli dell’analista, oltre alle reazioni ad ogni seduta di analisi, sia dal punto di vista intellettuale che emotivo.

Questi documenti sono completati da un centinaio di lettere della paziente al marito, del periodo in cui lui si trovava lontano, al tempo della prima analisi e nel decorso di questa, e dell’inizio della seconda analisi (lettere citate da lui nel suo libro, ma ‘lasciate da parte perché troppo personali’, come scrive nella prefazione), e inoltre dal testamento e dalla lettera d’addio, testimonianze, blocchi d’appunti e quaderni di ricette, il passaporto dell’anno della cura, fotografie e infine una cassetta di legno con l’immagine della paziente nel letto di morte, un disegno a carbone di mano di un’amica. Questa cassetta era rimasta tutto il tempo in sala, sui mobili che il fratello della paziente aveva progettato, realizzata nello stesso legno della stanza da letto comune. Così questa donna era stata in un certo modo sempre presente, non ha mai lasciato liberi non solo il marito ma anche gli altri congiunti.
Il figlio del marito, il cui nome deve naturalmente rimanere celato, si è deciso dato il grande significato del caso a mettere a disposizione per l’elaborazione scientifica la più grande parte di questo materiale.A lui va per questo la più grande gratitudine. I documenti sono stati esaminati nell’Istituto per la Storia della Medicina di Tubinga, e brani dei manoscritti sono stati trascritti. I materiali sono stati successivamnete ceduti all’Archivio dell’Università di Tubinga. Il loro utilizzo è regolato da un accordo con il donatore e sottoposto a condizioni severe. Bisogna naturalmente difendere con impegno l’anonimità della paziente e della famiglia. Un consigliere scientifico- atualmente io stesso- deve personalmente convincersi della serietà di una richiesta di utilizzo e dare il proprio benestare. I documenti sono stati elaborati dal punto di vista archivistico nell’Archivio Universitario da parte del Dr. J. Wischnath e della Sig.ra I. Bauer-Klöden; si è preparato un indice, e l’insieme è stato inserito nel patrimonio dell’Archivio con la dicitura UAT 702. Si sta preparando un’edizione in forma monografica delle porzioni più significative del materiale.
Si tratta di un materiale unico: viene documentato dal punto di vista della paziente il corso di tre trattamenti, e questa visuale può ora essere paragonata con la prospettiva dei terapeuti. Esistono sicuramente già alcuni resoconti di pazienti sulla propria analisi, ma la maggior parte a posteriori e la maggior parte nel caso di terapie riuscite. Resoconti paralleli di paziente e terapeuta sono estremamente rari, e fino ad ora non si riferiscono a terapie fallite, che d’altra parte sarebbero in verità quanto mai istruttive.

I documenti di Ellen West rendono più chiari di quanto conosciuto in precedenza la preistoria della malattia e i tentativi della paziente e del marito di lei di cercare consigli medici e aiuto terapeutico. Lettere, diari e poesie mostrano Ellen West non solo come una malata, ma anche come una donna con una spumeggiante gioia di vivere; sicuramente le poesie evidenziano d’altra parte anche le oscillazioni estreme del tono dell’umore.
Esemplari sono tre poesie degli anni dal 1906 al 1909, qui riprodotte.



‘Ottobre 1906

La gioia di vivere mi fa desiderare di ridere e cantare!
Il sangue mi corre nelle vene, lo sento battere e pulsare!
Il fresco vento selvaggio mi incita alla battaglia ed alla lotta,
e sono piena di desiderio e di amore della vita!

L’amore della vita, e del mondo, e del sole in alto!
Di tutta la bellezza che contengono, e di tutta la meravigliosa gioia!
La gioia di vagare miglia e miglia, oltre boschi e campi e montagne,
la gioia di sentire la forza della vita, la folle gioia della vita!’
[in inglese nell’originale]






‘Febbraio 1907


Tempeste di primavera.
Ah, le prime tempeste di primavera
infuriano per il mondo.
Selvaggiamente lacerate sono le nuvole
e cade la pioggia!

E con le braccia spalancate
esulto,
la mia giovane mente è sopraffatta
di piacere e gioia!

Tu indugi? E preferisci restare
nella tomba della casa?
Pazza, non senti nell’aria
il soffio della primavera?’





‘Febbraio 1909


I cattivi pensieri

Da sola non oso più
andare nel bosco,
poiché dietro ad ogni albero
stanno gli spiriti malvagi.

Poiché dietro ad ogni cespuglio
mi osserva un coboldo selvaggio,
e fra i rami verdi
ride un demonio.

E quando mi scorgono
così sola, senza nessuno,
allora mi rinchiudono da tutte le parti
schernendomi.

Poi mi vengono addosso selvaggiamente
e mi prendono per il cuore,
e ridono e prendono in giro
i miei lamenti ed il mio dolore.

‘Non sai forse’ dicono,
‘Chi siamo stati?
Non sempre spiriti malvagi,
non sempre prole dell’inferno.

Un tempo eravamo i tuoi pensieri,
le tue speranze, orgogliose e pure!
Ma adesso dove sono i tuoi progetti,
i tuoi sogni?

Sono scomparsi tutti,
avvizziti in vento e tempesta,
tu stessa diventata un niente,
un miserabile verme.

Per questo dobbiamo svanire
via nella notte nera,
tanto cupi ci ha reso la maledizione
che ti ha colpito.

Quando cerchi quiete, pace,
ti strisciamo attorno,
vogliamo vendicarci
con le nostra urla di disprezzo!

E se cerchi felicità, gioia,
noi ci mettiamo in mezzo,
accusando, schernendo
saremo sempre insieme a te!’



Si possono avere opinioni diverse sulla qualità letteraria di queste poesie. In ogni caso sono composte con abilità, ed è innegabile che qui una giovane dotata sa esprimere e condensare plasticamente con parole il suo mondo interno.










La prima analisi con Victor Emil von Gebsattel
(dal febbraio all’agosto 1920)


Chi era Victor von Gebsattel? Passie traccia uno schizzo di biografia, dal quale può citarsi quanto segue, la parte più rilevante per questo contesto:

Victor Emil barone von Gebsattel nacque a Monaco il 2 aprile 1883. Nel 1900 cominciò lo studio di Giurisprudenza a Monaco, ma lo interruppe poco dopo, per studiare Psicologia e Filosofia con Theodor Lipps, sempre a Monaco. Nel 1909 si laureò con von Lipps con una tesi ‘Sulla psicologia delle irritazioni delle emozioni’. In questo periodo Alezander Pfänder lo mise in contato con il gruppo di fenomenologi di Monaco attorno a Max Scheler; a Berlino incontrò Wilhelm Dilthey.
Dopo la laurea si occupò di storia dell’arte e poi di filosofia (fra gli altri con Henri Bergson) a Parigi, dove assieme a Matisse e Rilke visse nella casa di Rodin.Alla fine del 1910 studiò di nuovo Medicina a Monaco. Poco più tardi al Congresso Psicanalitico di Weimar fece conoscenza con Sigmund Freud e Lou Andreas-Salomè. Nel 1915 conseguì a Monaco l’abilitazione in Medicina, e dal 1915 al 1920 trascorse un periodo come assistente nella Clinica Psichiatrica di Monaco con Kraepelin, e conseguì lì la specializzazione in Medicina nel 1919 con uno studio sulle ‘Forme atipiche di tubercolosi’. Dal 1920 al 1924 lavorò privatamente, si sottopose ad una analisi didattica con Hanns Sachs e assunse per un anno la direzione dell’Ospedale Westend di Berlino. Nel 1926 fondò la clinica privata Schloss Fürstenberg nel Meclenburgo, presso Berlino, di cui era anche direttore. Nel ‘circolo di Scheler’ a Monaco incontrò nel 1927 per la prima volta Viktor von Weizsäcker, con cui rimase per lungo tempo in contatto. La sua attività di direttore della clinica terminò allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale nel 1939, quando l’istituto fu trasformato in ospedale militare. A quel punto si dedicò nuovamente all’attività privata, e operò pure dal 1939 al 1943 come analista didatta all’Istituto Centrale di Psicoterapia e Psicologia del Profondo di Berlino. La sua casa venne bombardata a Berlino alla fine del 1943, e nel 1944 si trasferì presso Vienna dove assunse la direzione di un istituto psichiatrico.

Quando Ellen West iniziò una terapia con lui, nel febbraio 1920, Gebsattel era dunque uno psichiatra laureato in Psicologia con Lipps, e con una formazione filosofica, aveva lavorato come assistente per cinque anni nella Clinica Psichiatrica Universitaria di Kraepelin a Monaco, e stava costruendosi una carriera come neurologo ben assestato. Lo si sarebbe potuto definire ‘un analista selvaggio’: poco prima della Prima Guerra Mondiale si era con successo dedicato alla psicanalisi appresa da autodidatta, avendo in cura fra gli altri la scultrice Clara Rilke, la moglie separata di Rainer Maria Rilke.
Fu un’amica artista a fare da intermediaria fra Ellen West e Gebsattel. Ci fu prima uno scambio di lettere, alla fine del dicembre 1919 ci fu un incontro a Berlino, dove Gebsattel si trattenne brevemente, e allora ci si accordò che Ellen sarebbe andata a Monaco per un trattamento psicanalitico.
Ora lasciamo parlare la paziente con un paio di lettere del periodo della prima analisi:


‘Ai genitori
Monaco, 8 febbraio 1920
Siamo a Monaco da due giorni […]
La mia terapia con il Dr. G. è appena iniziata. ‘E rimasta l’impressione simpatica, che avevo avuto di lui a Berlino. Ripongo la più grande speranza nel suo metodo; ma so di dover avere molta pazienza. I nervi non guariscono dall’oggi al domani. Ma l’aria di Monaco e il meraviglioso clima sono i grati migliori aiuti per una cura…’



‘Ai genitori
Monaco, 11 marzo 1920
G. è un uomo meraviglioso! Non mi sono mai sentita capita così completamente da un medico. Se c’è qualcuno che può guarirmi, è lui. Voglio dire: veramente guarita, dall’interno all’esterno. Esternamente sono già di fatto migliorata da quando sono qui. Ma da qualche parte nel profondo della mia mente covano sempre gli stupidi pensieri malati, e so di non poter guarire in modo intero e completo e durevole (come tanto vorrei succedesse adesso!) finchè non li avrò estirpati del tutto. Si potrebbe pensare che ciò sia semplice, dato che ora io ho la conoscenza. Ma è così difficile, e i nervi sono più forti della mia buona volontà, non si lasciano controllare e sottomettere, come una cosa concreta. Ma credo che con il tempo dovrà succedere. Ci vorrà solo molto, ed io vorrei continuare fino in fondo la ‘lotta’, e non smettere una volta giunta a metà.’





‘A Emma
Monaco, 19 marzo 1920
[…]
Per quanto io sia qui ormai da 5 settimane, ho avuto solo 14 giorni di psicanalisi, dato che G. si è ammalato, si è preso influenza e pleurite, e adesso è in convalescenza a Bernau sullo Chiemsee. Sarà di nuovo qui fra 14 giorni.- ‘E un peccato, non è vero, che io tanto a lungo debba stare senza terapia… Ma se è necessario, anche un mese di attesa fa lo stesso.
Dopo il breve inizio non posso dare assolutamente nessuna valutazione. Ho solo visto due cose: la prima, che la psicanalisi è qualcosa di molto interessante, e la seconda, che G. è una persona molto, molto intelligente, simpatica e fine. Se l’analisi può aiutarmi, non lo so; anche G. non può promettermi nulla. Io ho grossi dubbi; poiché mi sento malata fino alle radici del mio essere. Ma ho pure il penetrante desiderio di provarla: perché se c’è ancora qualcosa che può guarirmi è l’analisi.
Dal punto di vista fisico e mentale mi va molto meglio qui a Monaco che non a casa. Godo la vita che conduco qui- senza doveri, senza faccende domestiche- è eccitante. Karl si è preso una vacanza fino al primo di aprile, ed a noi sembra di essere qui come in un secondo viaggio di nozze. Stiamo in un albergo, quasi ogni sera andiamo a teatro, ci aggiriamo di giorno per i musei, nelle strade e nelle pasticcerie. Qui non ho certo il bisogno di andare a letto alle 6!
So che G. h ragione a dire che tutto questo sarebbe solo un sonnifero, e non potrebbe aiutarmi in modo stabile. Io stessa sento benissimo che il male sopravvive all’interno. La maledetta scheggia continua a stare nell’occhio (- devo sempre ripensare alla tua immagine, esprime così esattamente la situazione). Se l’analisi deve aiutarmi, durerà molto a lungo. Ma per me è indifferente, voglio diventare sana e ragionevole e normale. Altrimenti tutta la mia vita futura mi pare orribile e senza senso. Ogni sviluppo, ogni senso dell’essere scompare, quando si è posseduti da un’idea malata, che è più forte della ragione e della buona volontà.
[…]

Fra la vecchia gente sono di nuovo andata a trovare gli H[attingberg]. Pure lui fa psicanalisi. Tu ti fideresti di lui?…
[…] ‘




‘Ai genitori
Monaco, 3 Aprile, 1920
[…]
Il Dr. G. è tornato da 8 giorni, e di nuovo vado da lui giornalmente. Posso solo dire sempre la stessa cosa: sono entusiasta di lui e del suo modo di procedere, il suo trattamento è senza fine benefico, e spero e credo che mi aiuterà. Ma devo aver pazienza, e non mi è sempre facile. Fra le altre cose, non secondario il fatto di sapere di non essere l’unica ‘chiamata’ con lui. Vorrei dire a tutti voi che mi avete cara: ‘Perdonatemi, -e abbiate pazienza con me’. Certo nelle cose di nervi si sente che si è in qualche modo responsabili per le proprie debolezze. Non è come con una frattura o una malattia fisica- con la quale uno non può farci niente. E nemmeno come nelle malattie mentali, poichè lì non si è consapevoli della propria malattia. Ma qui si sa che si tratta di stupidaggini, che impediscono di essere completamente a posto e sani, e ci si vergogna davanti a sè stessi ed ai propri cari di non sapere semplicemente cancellarle. ci si vergogna di non raggiungere rapidamente la meta, quando si ha tutto quello che sarebbe necessario. Il buon medico, la terapia sistematica, tutta la mia vita qui impostata su tranquillità e comodità: per la pura gratitudine dovrei guarire completamente dall’oggi al domani. Ma le cose procedono solo lentamente, passo dopo passo. E spesso è come se dopo due buoni passi in avanti io ne torni indietro altrettanti. E devo pregarvi con tutto il cuore: abbiate pazienza con me. […] ‘




‘A Karl, 8.4.1920
E solo della cosa più importante, la psicanalisi, finora non ho detto quasi niente. ‘E notevole quanto sia difficile per me parlarne. E nonostante ciò essa sta al centro, e tutto il resto della vita per me ora è solo un’aggiunta, del rumore. Ora sono giunta a un punto critico. L’ha ammesso G. stesso oggi: si tratta di una questione esistenziale. Cos’è più forte? La mia cosciente volontà di vivere, di essere sana,- o le potenze inconsce dentro di me, che mi spingono all’annientamento? Troverò la giusta via? Adesso essa è bloccata. Me ne ritraggo –inconsciamente- con tutte le forze. Lo avverto io stessa, ma non riesco a cambiare le cose.’




‘A Karl, 10.4.1920
L’analisi in questo momento è esasperante! Ogni giorno di nuovo ho la sensazione di non fare nessun passo in avanti, di stare davanti a un muro, che non è destinato a cadere, ma deve cadere, perchè altrimenti non ci sarà nessun miglioramento per me. Questa è la cosa terribile: adesso vedo che senza analisi (senza una analisi completata) non potrò guarire.’




‘A Karl
Monaco, 2 maggio 1920.

In quest’ultimo periodo ho spesso avuto la sensazione di avvertire un piccolo progresso. Le ore nelle quali provavo speranza erano più frequenti e ritornavano più spesso che al solito. Non che non vi fossero momenti di depressione; ma sempre ricomparivano la speranza e il coraggio, e soprattutto un bruciante amore per la vita. La cosa orribile è che queste sensazioni restavano e restano sempre pure emozioni: le mie azioni e i miei desideri non ne vengono influenzati. L’angoscia di diventare più grassa resta immutata al centro di tutto; i miei pensieri si occupano esclusivamente del mio corpo, del cibo, dei lassativi. E sebbene io nell’analisi riconosca in modo sempre più evidente da che risibili spinte istintuali quest’idea malata è stata suscitata, riesco tanto poco quanto prima a trovare il modo di saltarne fuori. Sono ormai da tre mesi qui, Pitt. Quanto dovrà durare? ‘E un cammino attraverso sabbia profonda, instabile: un passo avanti, due indietro. E che ora io veda comparire di tanto in tanto all’orizzonte la favolosa, dolce oasi nel deserto, che io stessa mi sono creata, rende solo più pesante la strada. A che serve? Resta un miraggio, e scompare di nuovo. Era più facile prima, quando attorno a me c’era solo grigio su grigio. Come se non volessi nient’altro che essere malata, e starmene ad A. a letto. Ora vorrei essere sana,- ma non voglio pagarne il prezzo… Spesso sono completamente stremata per il conflitto che non finisce mai, e torno disperata da Gebsattel a casa con la consapevolezza che lui può darmi la conoscenza, ma non la guarigione.- E la nuova gioia di vivere?- dirai. Ah Pitt, temo che non sia nient’altro che l’effetto della primavera, del sole, dei fiori…’



Fino all’estate si continua con impressioni ugualmente mutevoli. All’inizio di agosto si ha invece una svolta drammatica:


‘A Karl, 4.8.1920

[…] oltre a ciò Gebsattel oggi ha detto e dell’altro, che mi ha molto scosso. ‘E quasi impossibile scriverne; metto tutto da parte fino al tuo arrivo. Ora cercherò semplicemente di dirti più o meno di cosa si tratta, perché tu possa fartene un’idea. Al momento Gebsattel fa da sé cose che forse gli renderanno impossibile continuare l’analisi. Non ha perduto la fiducia nell’analisi, ma ritiene che essa non possa essere l’ultima risposta, l’ultima soluzione. Proprio tramite il lavoro con me gli è divenuto più chiaro che al di là dell’analisi ci deve essere una strada che ci porti più vicino alla verità fondamentale della vita. ‘E entrato in contatto con uomini che cercano questa strada, e che in parte già la percorrono; e si sente tramite il loro influsso scosso e turbato. Nella sua vita è comparso un giovane, una specie di ‘predicatore vagante’, un Cristo; e egli si vede –come al tempo in cui iniziò l’analisi- davanti a nuove decisioni . Tutto questo me l’ha detto oggi; continuerà a curarmi finchè ne avrà la capacità interiore. Se verrà un giorno in cui egli non vi riuscirà più- allora dovrà interrompere. Allora mi passerà ad un altro analista,- o forse potrà farsi accompagnare da me nel suo nuovo cammino?’




Chi era questo predicatore vagante? Si tratta di un ex insegnante elementare dal nome di Leonhard Stark, nato nel 1894 nel Palatinato Superiore, che comparve dopo la prima Guerra Mondiale dapprima come adepto di Louis Häusser, e poi dopo il 1920- all’inizio a Monaco- in prima persona- con discorsi di più ore su Cristo, Spartaco, il problema ebraico e quello sessuale; sviluppando teorie estremamente astruse, estremamenmente idiosincrasiche e evidentemente deliranti su religione e sessualità, suscitando un massicicio interesse pubblico. Come esempio possiamo qui riprodurre due piccoli brani suoi, in cui propugna una specie di teoria della bisessualità, che può avere suscitato l’interesse di Ellen West.

‘L’uomo totale non ha più bisogno di una donna per completarsi. Porta dentro di sé la propria donna- il momento dell’accettazione nella Volontà Eterna.’

‘Forte voglio la donna. Forte voglio l’uomo dentro di te. Poiché solamente quando nell’uomo c’è un uomo forte può esserci in lui anche una donna forte- e viceversa.’

Come fu che Gebsattel si lasciò tanto impressionare da quest’uomo è per il momento scarsamente comprensibile. Un collega analista di Monaco lo mise in guardia inutilmente:

‘Il delirio di grandezza di Stark mi sembra non sconfiggibile; egli vive nel proprio ordine, nella propria verità, che l’autismo ha creato e difende: là tutto è armonico, compiuto, non vi hanno accesso la vita e gli uomini con i loro problemi, sofferenze e sforzi, là c’è questa finta soluzione- nell’annullamento.’


Ellen West riferì a Karl il 9.8.1920:

‘Continuo a andare ogni giorno da Gebsattel, ma non facciamo analisi: parliamo delle cose nuove che tanto lo hanno impressionato da buttarlo fuori dai suoi binari,- e che anche su di me fanno un grosso effetto. Un effetto molto più grande di quello avuto dell’analisi fino a questo punto. Chi sa cosa può derivarne? Forse assolutamente niente. Forse tornerò all’analisi, o piuttosto: forse ci rimango, ma con un altro analista […]
L’analisi scompone, tira via un pezzo dopo l’altro, e vede nei movimenti istintuali dell’Inconscio qualcosa di negativo, che deve essere superato. Per esempio nella ricerca di potere vede solo un difetto. Il nuovo cristianesimo lega e mischia assieme, e non è impossibile che proprio nel mio desiderio di liberarmi dai limiti borghesi stia qualcosa di buono. Non potrebbe forse essere possibile più facilmente superare la mia disgustosa malattia con un cammino postivo che non con uno negativo?’

L’analista ora fa da intermediario per incontri fra la paziente e Leonhard Stark. Una decina di volte va da lui, è impressionata, ma rapidamente nuovamente delusa. Anche questi colloqui non servono a nulla. Il 16 agosto scrive alla madre:

‘Adesso voglio vedere che effetto avrà su di me un periodo senza cure mediche. Mi sembra del tutto giusto dopo una cura di cinque mesi fare una pausa. […] ‘E una fortuna che ora Karl sia qui, e che noi possiamo valutare tutto insieme. Ieri è andato un’altra volta dal Dr. G. e gli ha parlato. G. ci ha consigliato un paio di medici che potrebbero nuovamente prendermi in cura, se fra un po’ trovassimo che è la cosa migliore da fare…’

La prima analisi finì così in una catastrofe, e la paziente dovette pure venire a sapere che proprio il suo caso aveva dato l’ultima scossa alla fiducia del terapeuta nella propria arte.
Gebsattel successivamente ricercò apertamente nella propria crisi personale aiuto analitico, e si recò a Berlino per un’analisi con Hanns Sachs. Più tardi riprese il lavoro analitico, ma rimase pure legato ai circoli vicini a Louis Haeusser.
Nel 1943, quando si era nuovamente dedicato al caso di Ellen West, Ludwig Binswanger scrisse a Gebsattel:

‘Caro collega!
Non so se in questo periodo posso disturbarLa con la mia richiesta, e lo faccio solo nella sicurezza che, se ora lei non ha tempo, rimanderà la risposta a tempi migliori.
Sono attualmente occupato nella rielaborazione di significativi casi limite di schizofrenia, soprattutto quelli con spinte compulsive. Uno dei più interessanti è il caso della Signora Ellen West, ricoverata da me nel 1921, e nel 1920 in analisi con Lei a Monaco. Ho un’anamnesi molto approfondita, ma nessun dettaglio psicanalitico: nella mia clinica una psicanalisi non fu più possibile. Forse Lei si ricorda che la signora venne completamente logorata nella lotta fra il suo ideale di magrezza e una fame compulsiva. Con sicurezza avevo predetto il suicidio. Lei potrebbe, sulla base dei Suoi ricordi o anche di note ancora disponibili, ricostruire per me la Sua impressione del caso? Anche poche parole mi basterebbero. In ogni caso non c’è fretta. Posso menzionare il suo nome, o preferisce di no?
Mi spiace molto non poterLe mandare il mio libro; dal momento che – per problemi monetari- si è deciso di non commercializzarlo in Germania, anche un invio in regalo è molto insicuro. Sarei felice di saperLa lettore del mio libro, e già mi rallegro all’idea della possibilità di discuterne con Lei. Come contrappeso sono di nuovo interamente occupato con la psichiatria. Rielaboro tutto il mio materiale sulla schizofrenia, anche se ancora non so cosa ne salterà fuori.
[…]
Sono molto grato per la Sua ultima visita, e spero proprio in una sua prossima ripetizione.
Saluti di cuore a Lei e consorte da mia moglie. Concludo come il suo affettuosamente devoto
Ludwig Binswanger’




Gebsattel rispose:

‘[intestazione stampata]
Dr. Barone von Gebsattel
Neurologo

Berlin-Charlottenburg, 2.5.43
Sophienstr. 4-6
Tel. 323000


Caro collega,
molte grazie per i Suoi saluti. ‘E un vero peccato che io non posa ricevere il libro. Posso chiedere il titolo? Può anche darsi che io riesca a procurarmelo!
Per quanto riguarda la Sig.ra Dr. West, non ho a disposizione note sul suo conto. Mi ricordo però molto bene di lei. Non poteva mandar giù assolutamente nulla senza essere torturata dal pensiero di aumentare per questo di volume e di peso, di tuffarsi nella materia, di divenire così più volgare e sporca, banale e comune! Ripensandoci- allora non avevo ancora finito il mio studio della Medicina- mi viene in mente la psicologia dei casi di magrezza ipofisaria. Nel suo caso iniziò- se non erro- alla pubertà, quando si esaltava il suo bell’aspetto. Non voleva avere un bell’aspetto, ma essere pallida, eterea, spirituale. L’angoscia davanti al mangiare, davanti alla necessità di farlo, la tormentava tutto il giorno: e soprattutto dopo l’assunzione di cibo l’angoscia del mutamento così prodotto. Di tanto in tanto si provocava artificialmente il vomito. Non ricordo con chiarezza la ‘Avidità coatta’. Più significativa era la totale incorreggibilità della difesa coatta contro l’assunzione di cibo- davanti al carattere insensato (folie lucide|) di questa difesa. Non ricordo più la porzione nevrotica del caso, ma ritengo ci sia una base per questa dimenticanza. L’analisi non portò alla luce nulla di essenziale- era del tutto preponderante l’involucro psicotico. Vi era un legame paterno, ma ella era in una relazione molto buona con il marito, che mi pare essere stato estremamente paziente con lei. Erano molto forti interessi intellettuali (la letteratura) (giunse a me tramite la sig.ra S.!). Era complessivamente ben funzionante, e disturbata solo nell’area circoscritta del sintomo Le crisi di sconforto mi hanno fatto presto pensare a una depressione endogena. La diagnosi di schizofrenia è saltata fuori per la prima volta nella Sua clinica (Hoche?). Oggi io direi: sintomatologia anancastica in costituzione schizofrenica. Non si potrebbe pensare che vi sia una parentela fra questo tipo di fobia coatta e difesa coatta da una parte e il delirio nichilistico dall’altra? Quello che in un paranoide è delirio nichilistico viene qui disfatto fino a un non-essere anancastico: il non-essere del corpo ricercato tramite il rifiuto del cibo;- diventa un ideale coatto. Il suicidio, per quanto in primo luogo determinato dalla sofferenza del vivere, in effetti dà compimento al fine attorno al quale gravita la coazione. (Dando nomi oppure no, come Lei preferisce).
Perdonatemi questi frammenti buttati lì. Torno ora da Überlingen (- Con dietro molti sguardi sul lago!)- e mi affretto a rispondere, prima che l’attività professionale mi ingoi di nuovo. Molti calorosi amichevoli saluti dalla nostra alla Sua famiglia
il Suo E.v.Gebsattel’




Per Ellen West ad ogni modo il suo primo trattamento analitico, così tragicamente conclusosi, ebbe conseguenze severe. Fu presto chiaro che senza l’aiuto di un terapeuta non sarebbe riuscita a saltarne fuori, e così lei ed il marito si misero alla ricerca di un altro analista. La scelta cadde sul Dr. Hans von Hattingberg, che d’altra parte conosceva personalmente la paziente dal tempo di un precedente soggiorno di lei nella città.








Ellen West in analisi con Hattingberg (dall’ottobre al dicembre 1920)



Hans von Hattingberg nacque il 18.11.1879 a Vienna, figlio di un funzionario governativo cattolico. Studiò Diritto, e si laureò nel 1902 all’Università di Vienna. Fu di professione giurista fino al 1906. Nell’agosto conobbe Forel, e iniziò a studiare Psicologia e poi Medicina (nel 1906 si iscrisse a Berna, nel 1908 ad Heidelberg). Nel 1913 si laureò in Medicina a Monaco con una tesi sulla sclerosi multipla. Nel 1914 si stabilì a Monaco come ’specialista in psicoterapia’.
Anch’egli ebbe contatti con i circoli artistici di Monaco. Suo fratello Walter era scultore; la moglie di questi, Magda von Hattingberg, pianista, ebbe per la durata di diversi mesi una intensa storia d’amore con Rilke. Da non molto è stato pubblicato l’epistolario dei due.
Nel 1911, come rappresentante della Associazione Internazionale per la Medicina Psicologica, aveva preso contatti con il movimento psicanalitico. Divenne membro della associazione psicanalitica di Monaco. Nel 1913, al 4° congresso psicanalitico internazionale di Monaco fece un intervento ‘Sul carattere erotico-anale’, che venne stampato un anno dopo con il titolo ‘Erotismo anale, masochismo e ostinazione’. Nel 1914 prese parte alla guerra come medico, e dal 1916 fino alla fine del conflitto diresse un ospedale militare per disturbi mentali. Nel 1919 entrò nella Unione Psicanalitica di Vienna (abitava di nuovo a Monaco) e ne rimase membro fino al 1925. Nel 1920, al 6° Congresso Internazionale Psicanalitico dell’Aia lesse un intervento sul tema ‘Transfert e scelta oggettuale; il loro significato per la dottrina degli istinti’; nel 1922, al 7° Congresso di Berlino, parlò sulla ‘Ricerca di una analisi della situazione psicanalitica’.
Hattingberg fece nel marzo del 1924 un tentativo di trasferirsi a Berlino, ‘con grossi obiettivi, la cui attuazione potrà essere intrapresa solo dopo qualche tempo’. Non riuscì comunque a consolidare la sua posizione a Berlino, e ritornò a Monaco.
Nel 1925 fondò insieme all’editore Niels Kampmann una nuova rivista dal nome ‘Giornale di Antropologia’. Tentò inutilmente di convincere Binswanger a collaborarvi. Binswanger cautamente rifiutò, ma Hattingberg continuò ad insistere, e tentò di interpretare analiticamente il rifiuto dell’altro- cosa che fece irritare Binswanger.
Hattingberg fu nel 1925/26 uno degli iniziatori del Primo Congresso di Psicoterapia Medica, ma si scontrò con Wladimir Eliasberg ed uscì dal Comitato Organizzatore. Nel 1932 finalmente si trasferì a Berlino, fu nel 1933 fra i fondatori della Società Generale Medica Tedesca di Psicoterapia, ottenne nello stesso anno un incarico di insegnamento in psicoterapia alla università di Berlino, e nel 1936 fu tra i fondatori dell’Istituto Tedesco per la Ricerca Psicologica e la Psicoterapia, con il ruolo di direttore della Sezione Ricerca e della biblioteca. Nel 1940 venne nominato Professore. Contribuire a sviluppare la ‘Nuova dottrina tedesca di psicoterapia’, senza d’altra parte essere personalmente vicino al nazionalsocialismo. Nel 1943 illustrò i fondamenti della nuova dottrina alla Società Kaiser Wilhelm; il suo discorso venne pubblicato come monografia. Insieme alla moglie Liese, Hattingberg nel 1944 prese la direzione della sezione sulla consulenza matrimoniale dell’Istituto Statale per la Ricerca Psicologica e la Psicoterapia nel Consiglio Statale della Ricerca. Il 18 marzo 1944 Hans von Hattingberg morì a Monaco. Uscì postumo un suo libro dal titolo ‘Crisi matrimoniali, crisi di sviluppo; un problema del nostro tempo’
Hattingberg appartenava certamente al movimento psicanalitico, ma per lunghi anni restò una figura marginale. Non si era sottoposto ad una analisi personale.
Ellen e Karl West andarono a trovare Hattingberg nel suo domicilio estivo a Bad Heilbrunn, vicino a Bad Tölz, a sud di Monaco, e vi restarono una settimana. Dopo le sedute di prova Ellen scrive a sua madre il 1° settembre:

‘Il Dr. H. è mio buon amico e sarebbe lieto di essermi d’aiuto. Il suo tipo di terapia mi piace molto. Ho molta fiducia in lui, e mi sento estremamente vicina a lui in questi giorni. Se andrò ancora un poco da lui d’inverno dipenderà dall’effetto che avrà su di me Düring. Dopo che avremo consultato Düring tornerò a casa con Karl, la prima volta solo per poco, forse una settimana. Ne ho il bisogno; e devo, dopo tutto questo, un’altra volta rannicchiarmi nel letto vicino a te, e confidarmi con te.’


Il tono speranzoso è evidente anche in uno scritto che Hattingberg indirizzò al marito di lei il 2 settembre:


‘Il trattamento vero e proprio, data la natura puramente psicogena del disturbo, può solo essere psichico, e come tale, per la mia esperienza, in una nevrosi ossessiva in genere non si può considerare altro che la psicanalisi. Lei mi dirà giustamente che questo strumento è fallito. Ma: 1. la psicanalisi è un metodo che può essere impiegato in modi assai diversi- che una è fallita non deve necessariamente indicare che un’altra dovrà necessariamente non riuscire. 2. l’analisi non è stata condotta fino alla conclusione, e complessivamente è stata indirizzata in una direzione molto unilaterale, il che mi rende del tutto comprensibile il suo essersi arenata. –D’altra parte, a mio avviso, la psicanalisi fatta fin’ora non è stata inutile, come giustamente Lei ha sostenuto nella lettera per il Prof. Düring.- 3. Soprattutto, al di fuori della psicanalisi non c’è nessun mezzo per combattere con successo una nevrosi ossessiva, quando ha raggiunto un tale livello. [,,,]
Così c’è solo una via- imparare a conoscere le resistenze che impediscono alle spinte del paziente buone, degne di vita, di prender la guida,- cercare di scoprire cosa la spinge a affamarsi in questo modo sistematicamente fino alla morte. Ritengo assolutamente possibile un aiuto su questa via- credo assolutamente nella possibilità di guarigione- e potrebbe sembrarmi che i nostri vecchi rapporti personali possono in effetti renderla molto più facile.
Non è così importante in quale momento si debba iniziare la terapia. Sarei completamente d’accordo se sua moglie-se così vuole- rimandasse ancora per un po’ la decisione- la costrizione mi sembra del tutto senza prospettive. Dipende tutto dalle condizioni del paziente.
Se essa- la psicanalisi- ha successo, allora deve farle seguito la ‘sintesi’, ‘il riempire il nostro cuore di di vivente cura per gli altri’. Senza questo risultato parlerei anch’io di una guarigione apparente- Anche qui ha ragione il Prof. Düring. Ma questa grande meta è raggiungibile solo quando l’analisi- cioè la conoscenza delle resistenze- è andata fino in fondo, così da preparare il terreno da cui poi può crescere la semente sperata. Se le energie postive ci sono esse devono solo essere liberate, e che vi siano qui lo sappiamo già.
Basta con queste valutazioni, che in fondo non possono dimostrare niente. Sperabilmente saranno a un certo punto i risultati a parlare per sé- premessa l’ipotesi che sua moglie decida per una prosecuzione, cioè per una nuova terapia psicanalitica.
Spero di rivederla a Monaco, se anche lei così deciderà, e la saluto intanto di cuore come il suo devoto
Dr. Hattingberg’



Hattingberg si reca successivamente al Congresso,- dove del resto incontrerà pure Binswanger-, la paziente con il marito si reca a casa propria. All’inizio di ottobre ella torna a Monaco e intraprende l’analisi.
Alcuni brani del diario di Ellen West possono illustarne il corso.




‘21 ottobre 1920
Seduta di ieri
Mangiare. Succhiarsi il pollice. Diventare grassa è come isolarsi dal mondo. Non mangiare. Essere magra è come vivere con altri, con gli altri che sono il mio ideale: biondi, più alti: Gustav, Emma etc. Il conflitto: lottare per avvicinarsi all’ideale di uomo; ma pure la ricerca di essere lasciata in pace nel mio comodo mondo, di succhiarmi il pollice. Qui i fili si confondono; perché nei fatti mi isolo tramite il mio voler essere magra, e sogno quindi di liberarmi del mio ideale di magrezza., per ritrovare la strada verso gli uomini. Qui si trova una contraddizione che non riesco a districare.
Cosa significa la terribile sensazione di vuoto?
La spaventosa sensazione di inquietudine, che sopraggiunge dopo ogni pasto? Il cuore si dispera, lo sento con il mio corpo, è un sentimento di una indescrivibile sofferenza. Non può davvero essere il mangiare? Deve essere qualcosa d’altro quello per cui mi angustio.
Cerco qualcosa nel mangiare che il mangiare non può dare. Se cerco nel cibo di placare la mia rimossa spinta sessuale- allora per forza ogni giorno di nuovo devo essere delusa.
Ma questo vuole dire dunque che il mangiare per me significa una realizzazione della spinta sessuale? Così sembra, ma ne ho solo prove indiziarie.
Gli indizi sono:
1. l’agitazione che si sviluppa dentro di me.
2. il senso di delusione, la depressione dopo il pasto.
3. il carattere sacrale che do al mangiare.
Chiamo questi indizi, mentre mi dico: deve però essere una spinta sessuale malata quella che si esprime qui. Un po’ come si dice: Solo la serva è entrata nella stanza, etc. etc.; deve quindi essere stata lei a rubare i gioielli. Questo tipo di prove in genere bastano ai giudici. A me non bastano, se non scopro qualcosa di più.
Come giungo a questa folle deformazione? Dipende, mi si dice, dall’erotismo anale. Questo è sapere, non sentire. L’erotismo anale per me è solo una parola. […]
Non riesco a capire quando, dove, come il mangiare mi ha dato soddisfazione sessuale. Deve essere avvenuto quando ero una lattante. Dipende tutto dall’erotismo anale. Ma l’erotismo anale non è che una parola per me.’


Contemporaneamente fiorisce apertamente il rapporto con Hattingberg:

‘Sono felice in pochi momenti d’amore,- oggi, quando sono venuta via dal D.v.H.. Poi la sensazione di gioia scompare di nuovo, ed il pensiero del cibo allontana tutto. Ripeto la mia teoria: mangiare è la forma maschile di soddisfazione. Io però desidero anche la forma femminile; anche il donare. La parte maschile in me diventa sempre più brutale, calpesta quella femminile; lei si volge via e piange, il cuore quasi le si spezza dall’angoscia.’



Un sogno pare molto significativo per la costellazione di transfert:

‘27 Ottobre.
Sogni
Me ne vado in giro, cerco una strada. Il posto mi è estraneo. Vedo venire un paio di ragazzi e ragazze, e chiedo loro la strada. Mi indicano dove devo andare: attraverso una strada laterale mal lastricata. Vado avanti per un po’, svolto all’angolo, e vedo che la strada è tutta sommersa dall’acqua. Sento sopraggiungermi dietro i ragazzi e le ragazze, mi volto verso di loro, faccio notare l’inondazione. Loro non se ne curano, e entrano dritti nell’acqua. Adesso noto che hanno dei costumi da bagno. L’acqua è profonda, turbinosa, ma chiara e trasparente.Dibatto con me stessa se anch’io devo attraversare a nuoto, ma penso che mi rovinerò gli abiti. Di colpo mi trovo però nell’acqua, che però mi sembra non essere assolutamente più profonda.Non nuotiamo infatti, ma stiamo in piedi, come in un giardino. Uno dei giovani inizia a sparare a delle anitre selvatiche. Sopraggiunge un uomo, molto irritato, che vuole portarci in prigione. Gli faccio vedere che ho le mani vuote, che non ho armi; non sono colpevole di nulla, che io sappia. Capisce che non ho nulla a che fare con gli altri, non mi arresta, ma mi accompagna dal Dr. v.H.
Il Dr. v.H. è seduto in una stanza, su un sofà vecchio stile ad una grande tavolo ovale. Suo fratello gli è seduto accanto. Mi saluta sorridendo, (il Dr. v.H.) e io lo ringrazio per avermi un’altra volta salvato da una brutta situazione. Mi sembra che, nella mia ricerca della strada giusta, già più volte io mi sia trovata in situazioni difficili, dalle quali ogni volta lui mi ha tirato fuori. Poi usciamo insieme dalla stanza, andiamo in una camera da letto, dormiamo insieme. Sono molto felice, ma il Dr. v.H.piange. Dice:’Mi lascio sempre trascinare a far qualcosa del genere per amore delle mie pazienti. Ma non dovrei farlo.’ Si fa dei rimproveri per via di sua moglie. Cerco di consolarlo e di dirgli che egli non sottrae nulla a sua moglie se, solo per motivi terapeutici, aiuta altre donne; questo di sicuro lo capirà bene anche sua moglie. Infine mi arrabbio, dato che lui continua a piangere, e dico irritata: ‘Anch’io sono sposata, e mio marito non ha nulla contro di questo’. Temo che lui non tornerà da me, e gli chiedo se pensa che dopo questa sola volta potrò avere un bambino. Lui ride e dice: ‘Proprio non lo so’. Sono delusa, dato che già speravo di averne uno da lui. Dico: ‘Non potete abbandonarmi. Se questa volta non resto incinta, deve ritornare da me un’altra volta’. Mi sveglio e noto che mi è successo qualcosa che dalla prima infanzia non era più successo: ho bagnato il letto.’





‘30.11.1920
H. dice: ‘Tutto deve avere un significato’. Non mi tormenterei così se la cosa non mi desse gioia. Naturalmente gioia non per me persona ragionevole, ma per l’Inconscio, che vive in me. Devono esserci istinti in me che cercano l’isolamento, che amano l’autotormentarsi: altrimenti non mi terrei stretta con tanta costanza alla mia malattia.
Questo mi pare davvero grottesco. Se questi istinti vogliono l’annullamento, allora hanno comunque raggiunto il loro fine.
Non lo capisco, non capisco più niente. So sola di essere infinitamente disperata, infinitamente misera…
E adesso risento nella mia mente la voce di H. che dice: ‘Forse lei vuole davvero questo?- Siccome non può essere infinitamente ricca e potente,- allora essere infinitamente misera’…
Ma questo è assolutamente insensato! Una interpretazione del genere, se fosse giusta, dovrebbe subito liberarmi e rendermi sana. Io avrei così spinto all’assurdo tutta l’apparenza della malattia, e ne sarei libera. Invece mi impiglio sempre di più nelle sue reti.’



Si prospetta un’interruzione dell’analisi per via delle vacanze natalizie. Alcuni brani dal diario del marito:

‘21.12. […] Il pomeriggio è di nuovo pieno di speranze. E. torna scossa da von H.che per le vacanze le ha dato in prestito un libro di Freud perché lo studi.
22.12. […] vado a prenderla alle 4 da H., con cui poi parlo e che mi dice che non vi sono motivi di pessimismo e che bisogna solo aver pazienza. Si tratta comunque di un caso difficile.
Venerdì, 24.12. […] durante la cena riceve una pianta inviata da Hattingberg.
26.12. Domenica: […] andiamo da H., che oggi fa analisi l’ultima volta prima delle sue ferie. Il percorso là è sconsolante. Tiene lì E. un’ora e mezzo (mentre io scrivo a G.), ma oggi non le serve a nulla. Sulla strada del ritorno lei mi racconta quello che lui ha detto. Per me è qualcosa di incomprensibile: E. deve, per poter ottenere l’amore e la comprensione del padre, avere trasformato in depressione la sua idea fissa etc. Posso ben capire la mistica di E. Molto significativo è che- in contrasto a Kraepelin, Romberg e Veil- H. le abbia detto che la depressione non se ne andrà via da sola, ma può essere rimossa solo tramite una propria attività nella psicanalisi.’



Nel proprio diario la paziente il giorno dopo, il 27 dicembre, traccia un bilancio desolato:


‘Sono amaramente delusa dall’analisi. La chiarezza che fin’ora mi ha dato su me stessa non mi serve a niente. In contrasto rende ancora più pesante il cuore: vedo dove stà la mia malattia, e non riesco a superarla. Un ammalato di cancro non guarisce quando sa di avere un tumore. Nella sua sofferenza semplicemente fa il suo ingresso ora la disperazione.
L’unica conclusione che posso trarre dall’esperienza dell’ultimo periodo è di togliermi la vita.
[…] Fin tanto che sono stata la bambina di mio padre, e nient’altro, sono stata felice. Ma prima o poi bisogna tagliare il cordone ombelicale. Devo infine camminare con le mie gambe. E qui ho commesso l’errore di allontanarmi completamente dal modello di mio padre. Di questo devo ancora fare penitenza.
E ora devo cambiar direzione, devo imparare a trovare la strada giusta, quella che sta nel mezzo, cioè fra il modello di mio padre e quello che avevo scelto.
Ma dove posso trovarla questa strada? Secondo H. nella misura in cui ogni giorno ed ogni ora la tengo davanti agli occhi. Nella misura in cui desidero guarire, e vivere. Vivere come una semplice, normale donna, che non vuole solo essere amata e coccolata ma sa lei stessa amare e corrispondere all’amore altrui.
Sono ancora malata perché voglio esserlo, perché ho paura della vita, che mi fa richieste che non posso accettare.
Tutto questo lo vedo bene. Però non riesco con la volontà dominare questi istinti, che non ostante la mia ragione mantengono la loro vecchia posizione. ‘E proprio questo a farmi tanto disperare. A che serve ogni volere? L’’Inconscio’ è più forte, e ride di tutta la mia buona volontà.
Per questo non vedo nessuna strada che mi porti fuori dalla mia ‘nevrosi’.’




Lo stesso giorno in cui traccia questo bilancio scrive una lettera disperata a un educatore e pedagogo, di nome Richard Engel, che gestisce un istituto presso Bonn:

‘Che devo fare? Il Dr. v.H. mi raccomanda pazienza e mi consiglia a tentare ancora un paio di mesi con la psicanalisi. Ma non ne ho più la forza.
Le sarei indicibilmente grata se lei mi scrivesse cosa pensa della mia situazione, e se ritiene che io possa liberarmene.’

Il pedagogo risponde prontamente. Descrive il proprio metodo come un tipo di diretta influenza personale ‘tramite cui- per parlare figurativamente- si può in qualche modo dare una nuova forma alla personalità’, si dice disponibile, ma contemporaneamente dice:

‘Fintanto che lei ce la fa, resti lì! Qui io sono terribilmente occupato. Naturalmente non le rifiuterei aiuto, se lei dovesse averne bisogno... […] ma solo se davvero fosse necessario.’

Sicuramente non un invito capace di dare speranza.!
Il resto lo conosciamo già.: l’assenza dell’analista viene sfruttata per un ricovero nella Clinica di Binswanger, dove la coppia entra il 14 gennaio 1921.




Il ricovero a Kreuzlingen (dal gennaio al marzo 1921)

La paziente sembra all’inizio sollevata e meno angosciata. I primi resoconti da Kreuzlingen sono pieni di fiducia e speranza:
Il 18 gennaio scrive ai genitori:

‘B. di nuovo ha parlato con me per un’ora oggi, e poi ancora una mezz’ora con Karl. Questo devo dire: fa l’impressione di una persona notevole e intelligente, ed è molto, molto simpatico. Se nel corso della mia malattia non avessi già avuto tante delusioni, mi metterei a gridare, tanto sono affascinata. Ma sono divenuta più cauta. Certamente, lui capisce completamente la mia malattia, ma questo lo ha fatto anche G. Ed ora prima aspetterò di vedere se la sa guarire.
Con tutta la sua comprensione e il suo affacendarsi attorno al mio insolito caso lui dà un’impressione di energia, e è pure generalmente considerato una persona molto energica. Così oggi ha detto: ‘Non la costringerò a nulla, ma anch’io non mi lascerò costringere a nulla da lei’….
Ho la sensazione di essere qui davvero nelle mani giuste e nell’ambiente giusto.
Nella clinica c’è una meravigliosa tranquillità; gli ospiti sono tutti persone sofferenti, e- cosa notevole- già questo ha un effetto benefico su di me. Tutto il personale è addestrato al trattamento dei disturbi psichici; perfino le inservienti.La responsabile, sig.na Müller, passa ogni mattina e chiacchiera un po’. La sera le persone che hanno voglia di parlare siedono insieme nella sala. Si può stare con loro, o starsene via, come si vuole. ‘E una cosa meravigliosa essere in una vera Clinica per disturbi nervosi!- Se qualcuno prima mi avesse detto che io avrei parlato così, gli avrei riso in faccia!’




Ai genitori, 21.1.1921:
‘Adesso abbiamo due camerette carine l’una vicino all’altra; una è una stanza da letto, dotata di due letti, lavabo e armadio; l’altra è una stanza di soggiorno, con un bel tavolo rotondo al quale mangiamo, un armadio, un divano, comode seggiole, una scrivania e portafiori. Fa un’impressione davvero piacevole, e per i portafiori ci siamo pure fatti spedire quattro piante da casa. ‘E soprattutto notevole con quanta dedizione ci si occupa di ciascuno! Medico, responsabile e dipendenti fanno a gara per mettere ciascuno il più a proprio agio possibile. La cameriera è qui già da anni, e decisamente ha una ‘comprensione per la psichiatria’, per non dire vere conoscenze.’


Alla suocera, 11.2.1921:

‘B. non fa psicanalisi con me. Stima sicuramente molto la psicanalisi, ma solo per certi casi. In una depressione, dice, essa non serve a nulla. La sua terapia consiste nel venirmi a visitare due volte al giorno, e nello spingermi al coraggio. Il resto deve farlo il tempo; il tempo e la quiete.’

Invece vi sono contatti personali e amichevoli con il marito:

Karl ora suona molto spesso con il Dr. B. Suonano sempre nella casa privata di B.; è proprio qui vicino, a due minuti, ci si arriva senza mettersi il cappotto. L’altra sera ci sono andati in tanti qui dalla clinica, e tutti ne sono stati esaltati. Karl aveva le guance proprio rosse dalla gioia, ed era molto eccitato…’

Più tardi, dopo la morte della paziente, Binswanger scriverà al marito:

‘La Sonata di Beethoven Op. 5 N. 1, primo movimento, ha da allora per me un significato particolare.’

Il 16.2.1921 lei scrive ai genitori:

‘Stamattina è arrivato tutto un mucchio di fotografie mie, che sono state recuperate da Gretel [la cognata] e da Max [il fratello più giovane]. Hanno molto interessato il dottore. ‘E quasi incredibile quanto penetra in ogni particolare, e quanto è efficiente ed instancabile. Come prima viene da me due volte al giorno; il mattino alle 10, ed il pomeriggio fra le 5 e le 7. Non può fare molto; poiché già dice che solo tranquillità e tempo possono portare la guarigione. Ma mi aiuta proprio tramite il suo venire e la sua attenzione costante: si fa sempre descrivere l’esatto corso della giornata e della notte, mi fa coraggio, mi spinge a schiudergli sempre il cuore; a volte mi dà una medicina a volte un’altra, per aiutarmi nelle ore di maggior depressione,- e è complessivamente una persona estremamente stimolante e- per quello che io posso giudicare- un medico molto notevole.’


Ma presto tornano i dubbi. Dopo qualche settimana scrive nel suo diario:

‘Non riesco più ad immaginare di poter guarire. Tornare libera, tornare senza problemi. […] C’è un diavolo dentro di me, e come ha deriso tutta la mia intelligenza e la mia buona volontà, così pure deride ora la mia ‘fiducia nei miracoli’. Perchè io credo che solo un miracolo può salvarmi; tutti gli altri mezzi sono falliti.’

Nel diario si vede che i cattivi presagi si infittiscono. Il 18.3.1921 scrive alla suocera:

‘Cominciano a ricomparire i sintomi della depressione, ma sotto stà un’altra malattia; non so come si chiama, ma penso che sia una qualche incurabile malattia mentale. E la mia sofferenza è tanto più grande, quando per così dire con gli occhi aperti mi vedo andare a terra. […] Alla fine della prossima settimana vengono per un consulto Bl. da Zurigo e Ho. da Friburgo. Fino ad allora stringerò i denti e aspetterò di vedere come saranno la loro diagnosi e la prognosi. Penso che solo un miracolo possa salvarmi; ed i miracoli non succedono.’

La paziente ha evidentemente correttamente colto il sospetto dei medici che si tratti di una schizofrenia, e vi ha reagito. Questo potrebbe pure essere il punto di svolta segnalato dalla curva del peso nella cartella clinica.


Nota di diario del 22 marzo 1921:

‘Vorrei non essermi svegliata dalla notte della depressione per poi dover vivere quest’orrore. Come un uomo che si riprende da una grave malattia solo per vedere che entrambe le gambe gli sono state amputate; o per ascoltare che ha perduto la sua amata. Sente di nuovo cantare gli uccelli, e vede la dolce luce del sole,- e sa che tutta la sofferenza è stata inutile: perché lui non è più in grado di vivere.
Quando ero ancora depressa, allora semplicemente non potevo immaginare la salute. Ora so di nuovo com’è la salute, come può esser bella la vita. Ma sono ammalata, e con occhi pieni di rimpianto devo abbandonare tutto.
Da quando non sono più depressa so per la prima volta quanto sono malata.
Di giorno in giorno cresce in me l’orrore davanti agli ignoti istinti che vivono in me come qualcosa di estraneo e terribile: l’avidità di cibo da una parte, e l’angoscia davanti al mangiare dall’altra.. […]
La morte è per me diventata una necessità. Solo nella morte posso trovare la pace che in vita agogno inutilmente.
Questo conflitto, che ogni giorno si ripresenta e non può essere risolto, è insopportabile.’


Dopo la ‘sentenza’ dei tre medici- tale fu nel più vero senso della parola- scrive il 26.3.1921 ai genitori:

‘Scrivo adesso presto invece che domani, dato che ci sono ancora progetti da raccontare. I giorni cattivi, di cui ho parlato ultimamente, non erano propriamente di malinconia. La malinconia in effetti da diverse settimane è in calo, e adesso se ne è completamente andata. Le depressioni che ancora mi tormentano non hanno a che fare con la malinconia. Sento in modo del tutto chiaro che la malinconia lentamente ma sicuramente mi ha abbandonato. ‘E solo rimasto acquattato là sotto qualcosa che mi deprime. E poco per volta ho sentito che la clinica ora non mi aiutava più, che non aveva più senso per me; sono diventata inquieta. era giunto il momento in cui l’atmosfera della clinica non mi tranquillizzava più, ma mi deprimeva…’

La decisione di lasciare la clinica e togliersi la vita era a questo punto già stata presa. Il 30 marzo la coppia parte da Kreuzlingen.






La fine



La sera del 4 aprile Ellen West prese il veleno mortale, e il mattino successivo era morta. Lasciò dietro di sé parecchi scritti, che forniscono informazioni sui suoi ultimi pensieri e sulla sua morte.
In primo luogo vi è una lettera personale, senza data, per il marito:

‘Mio Pitt,
perdonami, perdonami.- No, non devo implorarti di questo: tu hai visto tutto. Mi hai visto soffrire e combattere, e mi perdonerai se ti arreco questo grande, grande dolore. ‘E un brutto ringraziamento per l’amore infinito di cui mi hai circondato. Ma anche per via di questo meraviglioso amore tu mi perdonerai, e mi concederai la pace. Non piangere, non piangere! Io ho sofferto, ma adesso sono libera.
Non posso scrivere molto, ma a te, che notte e giorno mi sei stato al fianco, non ho bisogno di ‘spiegare’ molto. Soltanto quest’unica cosa: so che non posso migliorare, e che ogni lotta è inutile.
Diletto del mio cuore, ti ringrazio per ogni ora, per ogni minuto in cui mi sei stato accanto. Ti ringrazio di avere tramite te vissuto il grande miracolo dell’amore. Le cose più belle che vi sono state nella mia vita le hai portate tu. E solo tu mi hai reso possibile sopportare il tormento degli ultimi mesi.
Consola i miei genitori meglio che puoi. Racconta loro di me; allora smetteranno di piangere, e saranno grati che io riposi in pace.
Ho solo un paio di ultime disposizioni, le scrivo su un biglietto e le lascio qui. Ma sei tu che dovresti avere più di tutti diritto a darne! Sono solo desideri, e quello che non ti pare giusto cambialo.-
Quasi mi si spezza il cuore, a doverti dare questo dolore. Amore, amore, continuerei a lottare, se ci fosse una meta; ma non ce n’è nessuna. E ora per un’altra volta ti dò il bacio della buona notte,- come tanto spesso, nelle ore liete e in quelle pesanti.- Senti un’altra volta tutto il mio amore,- e perdonami.’



Come secondo foglio Ellen lasciò questo scritto:

‘Domenica 3 aprile
Il veleno, mio amato, ce l’ho con me da Monaco; e cosa si deve fare l’ho appreso in ospedale.
Se tu mi dovessi trovare prima che io sia morta, ti imploro di non farmi risvegliare alla vita. Questa è la mia ultima angoscia: che arrivi un medico a cercare di rianimarmi.
Lunedì 4 aprile
ieri notte tu hai dormito in modo così inquieto e leggero che non ho osato far nulla. Stasera ti darò del Pantopon o dell’Adalin- perdonami! Ma non posso più attendere.
Io prenderò del Luminal e del Veronal, e mi farò un’iniezione di morfina. Tutto questo assieme deve servire! Voglia Dio che io non mi risvegli più.
Penso tutto il giorno alle parole di Goethe
…aspetta, presto
riposerai anche tu.’


Il quadro che qui Ellen West dà delle circostanze della sua morte non collima del tutto con la descrizione del corso degli eventi fatta dal marito nella lettera che segue. Si può supporre che Karl West abbia fatto a Binswanger un resoconto veritiero, mentre lei stessa in questa lettera ha dato una rappresentazione dei fatti che potesse discolpare lui, il legale, dall’accusa di avere agevolato il suicidio.
Le ‘ultime disposizioni’ di cui parla la lettera d’addio riguardano in primo luogo il funerale.

‘Soprattutto ho a cuore che le esequie abbiano luogo in modo del tutto riservato, con pochissime persone. Mi è indifferente che io venga seppellita o cremata. Solo che non ci sia nessuna celebrazione al crematorio. Preoccupati che non ci sia nessuno lì che intimamente sia lontano da me; e che non si tengano discorsi. Vorrei che ci fossero solo i tuoi ed i miei genitori, [la bambinaia], Gretel [la cognata] e Max [il fratello più giovane];- e se deve essere così, questo o quell’amico stretto: Emma o V. o Z. o chi vuoi tu. Ma per favore, per favore, nessuno che in vita è stato intimamente lontano da te e da me.’


Seguono dettagliate disposizioni riguardanti le sue ‘cose’. Vestiti, gioielli, ritratti e ricordi vengono divisi fra membri della famiglia ed amici, il resto resterà al marito. Anche Gebsattel (per scelta di Karl ) riceverà qualcosa (successivamente chiederà un libro). Non viene nominato nessuno degli altri medici.
Il 7 aprile il marito scrisse a Binswanger a proposito degli ultimi giorni di Ellen:

‘[…], 7.4.1921
Caro Dottore,
questa è la prima lettera che scrivo dopo la morte di Ellen. I miei pensieri vanno a Lei, dottore. Voglio riferirle come sono trascorsi gli ultimi giorni.
Durante il viaggio Ellen è stat incredibilmente coraggiosa. Sapeva perché lo faceva, e ciò le dava forza. Di giorno ha preso solo una volta il Pantopon, e la sera si limitava all’Adalin. Lo sguardo sulla vita, che ha potuto dare durante il viaggio e soprattutto durante la nostra sosta a […]- abbiamo mangiato nell’Hotel […] la sera- le ha dato dolore. Più ancora che nella clinica sentiva quanto incapace di vivere era diventata. Venerdì mattina [1.4.1921] siamo arrivati a casa. Quello stesso giorno sono cominciati i preparativi. Domenica sera era tutto pronto. ma volle attendere ancora un giorno. Gli ultimi tre giorni erano stati per lei più tormentosi di tutte le settimane precedenti. Non sentiva nessun rilassamento, tutti i sintomi ricomparvero rafforzati, la non regolarità del modo di vita la stravolgeva del tutto, e il rivedere l’ambiente familiare, amici e parenti le portava solo più chiaramente alla consapevolezza la propria malattia. Sperava di poter avere un poco di godimento dalla vita almeno l’ultimo giorno. E questa giornata fu meravigliosa. Tutta mattina restò a letto, prese alla prima colazione burro e zucchero, poi dormì e si riposò (anche se il cuore non partecipava, ma, come tutte le volte che stava a letto di giorno, era scosso), e a mezzogiorno mangiò moltissimo, finchè fu sazia, veramente sazia. Per la prima volta da 13 anni provò un sentimento di soddisfazione nel riposare e nel mangiare. Si fece portare a letto dei fiori, si alzò a mezzanotte, passeggiò con me per il giardino, poi lesse assieme a me delle poesie tedesche ed inglesi- Rilke, Storm, Goethe, Tennyson- e si divertì con il primo capitolo di ‘Christian science’ di Mark Twain. Era in uno stato d’animo indimenticabile, tutte le difficoltà sembravano scomparse, un poco di dolore e molta gioia le stavano sul volto. Al caffè mangiò cioccolatini ed uova di Pasqua. Poi scrisse alcune lettere, per ultima quella per la signora T., che accludo aperta, come l’ho trovata, pregando Lei di darla alla signora T. in un momento appropriato. Cenò nuovamente a letto, lesse ancora con me, si fece portare del tè e vi mise dentro il veleno. Non aveva mai assunto alcun cibo con tranquillità maggiore di quel tè. Poi si stese a dormire con un’espressione indicibilmente felice. Mi disse solo un’unica cosa, di scrivere a Lei pregandola di salutare da parte sua Hoche e Bleuler. La mattina dopo tutto era concluso. Appariva nella morte, come mai nella vita- tranquilla e felice e in pace.-
Di me non posso dirle molto. Si dice che quello che viene compiuto con consapevolezza può essere superato. Non so se mai supererò del tutto questo, poiché eravamo davvero cresciuti interamente insieme. Ma che io abbia potuto aiutarla ad avere la morte, e una morte così tranquilla, questo è per me una enorme consolazione in mezzo a tutto il mio lutto. E come tutto sarebbe andato se non avessimo avuto Lei, caro dottore, non oso nemmeno pensarlo. Ellen ed io abbiamo ancora parlato molto di Lei, e le siamo stati grati per il modo in cui in tutte le settimane Lei è stato al nostro fianco.
Per la famiglia la morte è stata del tutto sconvolgente. I genitori sono a G. e sono stati informati per espresso.
Presto tornerò al lavoro. Sento che le sofferenze di Ellen e l’amore di Ellen mi daranno la forza di svolgere la mia professione in modo completamente diverso da quanto finora ho saputo fare.-
Per favore porga i miei saluti a Sua moglie, e ringrazi molto il Dr. Haymann per la sua comprensione e la compartecipazione emotiva. E a Lei una calda stretta di mano dal suo
Karl West’




Binswanger rispose prontamente:

‘Kreuzlingen, 12.IV.21
Caro Dottore,
ho naturalmente di giorno in giorno atteso una sua lettera, e sono stato- posso solo dire tranquillizzato quando l’ho letta, tranquillizzato per voi due. Adesso davvero per la prima volta sento che proprio dovevamo agire così. Spero assolutamente che questa sensazione e di autonomia e di libera scelta davanti all’inevitabile le permetterà a poco a poco di arrivare alla pace. Mi rallegro che lei cerchi distensione nel lavoro. Che sua moglie continuerà a vivere nei miei pensieri può esserne sicuro dentro di me sono restati il suo virile aut aut, e la sua lucidità. Le sarei grato se brevemente mi informasse su tipo e dose dei mezzi impiegati.
Nei miei pensieri vedo lei non solo ancora qui, ma di nuovo qui. Sarei lieto di poter parlare con lei di sua moglie, e intanto far musica. La Sonata di Beethoven Op. 5 N. 1, primo movimento, ha ora per me un significato particolare.
Mia moglie, cui ho raccontato tutto, e il Dr. Haymann le sono del tutto vicini in questo momento, e la salutano entrambe di cuore.
Con sentita cordialità e viva partecipazione
il suo Ludwig Binswanger’



Karl West a Ludwig Binswanger, 23.4.1921:

‘Clinica del Dr. C.

[…]. 23.IV.1921
Caro Dottore,
la ringrazio di cuore per la sua lettera del 12.IV. e per le calde parole che ha trovato per mia moglie.
Io adesso sono totalmente a pezzi, non riuscivo a lavorare e mi sono rifugiato qui, per potere a poco a poco tornare a posto grazie all’aria pura e al sonno. Ho ferie fino al 15 maggio; all’inizio di maggio andrò per un po’ al lago. Naturalmente più tardi tornerò a trovarLa- ma non per ora, e non quest’anno credo.
I genitori di mia moglie sono semplicemente favolosi- hanno piena comprensione per la sua decisione, e trovano consolazione nel sapere che è libera dalla sua sofferenza e che ha avuto una morte dolce. Il veleno che ha preso è stato Luminal 20 compresse da 0,3 gr. ( 6 gr. in totale). Questa dose sarebbe stata di per sé letale, anche se se non avesse aggiunto della morfina ( 20 cc di soluzione allo 0,3). Il resto Glielo racconterò direttamente quando, sperabilmente l’anno prossimo, La rivedrò.-
Per l’assicurazione sulla vita di mia moglie il medico curante ha da riempire un modulo; penso che un modulo simile Le sarà inviato. Il medico di famiglia, il Dr. O. a C., ha indicato come causa di morte ‘Suicidio mediante Luminal e morfina a seguito di un disturbo mentale’, e valutato la durata della malattia come insorta da 4 anni. In effetti la malattia era insorta molto prima, ma a lungo non era stata riconoscibile come tale. La polizza poi è stata fatta prima dei 16 anni- nel 1905. Come medici curanti prima di Lei ho dato i nomi di Romberg e Hattingberg.
Molti saluti dal suo
Karl West’





Anche successivamente Binswanger sostenne la giustezza della decisione di avere lasciato andare verso la morte Ellen West. Quando Karl West gli mandò i suoi auguri in occasione dell’ottantesimo compleanno, rispose:

‘Con i suoi amichevoli auguri lei mi ha dato una gioia particolare; lei e sua moglie siete sempre nei miei pensieri. La decisione di allora fu una delle più dure di tutta la mia vita. Non ostante la maggior esperienza, la ritengo comunque ancora giusta. E continuo a pensare alla così rara comprensione e fiducia e collaborazione fra voi due!’

Binswanger naturalmente informò gli altri medici che si erano occupati del caso. Questi reagirono in modi molto diversi.

In primo luogo una lettera scritta da Hoche dopo il consulto, ma prima della morte della paziente:

‘Friburgo i Br, 26 marzo 1921
Caro collega,
sono, in buone condizioni e dopo una piccola perquisizione al confine, dove inutilmente hanno cercato banconote svizzere, ritornato qui, in mezzo a un calore estivo.
La Sua grande e amichevole ospitalità ha trasformato questa spedizione in distensione per il corpo e per lo spirito- e di questo ringrazio di cuore Lei e Sua moglie.
Se per caso quella sig.ra West non sarà spinta in modo semi-attivo dal marito negli Inferi, l’averle facoltativamente aperto la porta d’uscita potrebbe anche (e dipende da una elaborazione psichica attualmente) avere un influsso favorevole- come nella novella di Heyse.
Con i migliori saluti,
Suo devotissimo
Hoche’



Ecco la sua reazione alla notizia della morte:

‘Friburgo i. Br., 16 Aprile 1921
Distinto collega,
La ringrazio per avermi trascritto quel documento umano, del quale (per l’eventualità di una successiva auto[bio]grafia accompagnata da esempi) ho trascritto una porzione.
La cosa è d’interesse pure sotto un aspetto giuridico ultimamente non affrontato: l’assistenza al suicidio non è punibile, dato che il suicidio non è punibile. Se il marito non avesse semplicemente messo a disposizione il veleno, ma l’avesse iniettato, allora si tratterebbe di ‘Assassinio su richiesta’- con l’effetto potenziale di un paio d’anni di prigione- notevole esempio dell’incongruenza delle linee divisorie umane e legali.
Spero che Bleuler, con la sua più forte carica etica, non ne sia turbato.
Si goda della affermazione della vita nella propria famiglia, e abbia i migliori saluti dal Suo devotissimo
Hoche’



In effetti Hoche riferì davvero del caso nella sua autobiografia, in un capitolo su ‘Chi sceglie di andarsene’. Discute lì del problema del suicidio dei malati mentali, e scrive poi:

‘Gli intrecciati problemi di diritto che ruotano attorno a questo problema hanno giocato un ruolo in uno dei più inconsueti consulti a cui io abbia mai preso parte. In una clinica straniera era ricoverata una giovane donna, molto dotata, di elevati sentimenti, piena di interessi intellettuali di ogni tipo, ma condannata a essere con brevi intervelli preda di gravi depressioni con intensi stati d’angoscia; lei stessa ed il marito, che viveva nella più intima comunione spirituale con lei, furono concordi che sarebbe stato meglio porre fine alla tormentata esistenza della donna. Ai medici chiamati a consulto fu posta la domanda se questa era ancora una vita degna di essere vissuta. , ovvero se in un tempo immaginabile ci si poteva spettare un mutamento nella curva della malattia; fummo obbligati a dare una risposta negativa. La donna, che si trovava in quel momento in un intervallo di salute dal punto di vista psicopatologico, se ne andò via con il marito, avendo durante il viaggio ancora la gioia di alcuni giorni senza affanni; poi prese il veleno, procuratole da lui, e si addormentò in pace; l’aiuto dato da lui non era punibile, poiché il suicidio non è un reato penale.’

In questo contesto non si dovrebbe dimenticare che fu Hoche che nel 1920, assieme al giurista Karl Binding, aveva sostenuto la tesi della concessione della ‘Distruzione della vita indegna di esser vissuta’
La reazione di Bleuler mostra maggior partecipazione;

‘[intestazione stampata]
Prof. Bleuler
Burghölzli
Zurigo, 20.IV.21

Per il Dr. L. Binswanger, Kreuzlingen

Caro collega!
Le rimando con i più vivi ringraziamenti la lettera di West.
Il marito pare a nostro avviso aver tratto in modo terribilmente realistico le conseguenze. Che veleno aveva la paziente? Gliel’ha dato lui? L’ha osservata mentre lo metteva nel tè?. Forse Lei potrà prossimamente fornirmi ulteriori informazioni.
Ho con piacere un’altra volta letto la Sua prolusione dell’Aia. Solo su un unico punto non posso concordare con Lei: l’unione di anima e Corpo non è per me un problema metafisico, ma di scienze naturali; & quanto a quello che a Lei sembra non calcolabile, forse non ci si può nemmeno formulare una domanda sopra..
Calorosi saluti
Bleuler

1 allegato’






nel mondo della tomba




La reazione di Hattingberg



Hattingberg era stato informato da Binswanger dopo la dimissione, ma ancora prima della morte della paziente; ora, il 2 aprile, egli prende nella sua risposta una posizione diversa da quella della sua lettera d’invio di 3 mesi prima:

‘Caro collega!
La ringrazio di cuore per le Sue informazioni sulla Sig,ra Dr. West. Già la Sua prima lettera mi aveva reso intimamente titubante- e forse proprio per questo ho tanto a lungo rimandato una risposta; oggi devo ammettere di essermi propriamente convinto, almeno della inguaribilità. Come si debba chiamare la cosa è un problema teorico davvero enormemente interessante e importante, che non si può discutere fino in fondo. Probabilmente si dovrebbe però parlare di un ‘Processo’, in ogni caso di uno sviluppo irreversibile (mon riesco a veder i due tipi di decorso in modo così fondamentalmente distinto come oggi si è soliti). Credo oggi di sapere che il mio tenermi fermo alla nevrosi ossessiva guaribile debba essere in misura non trascurabile spiegato tramite il mio interessamento personale , straordinariamente intenso, per la paziente. Io volevo aiutare, e dovevo ragionare così. Mi è capitato come a Wetzel di Heidelberg, che escluse la schizofrenia di una paziente maniacale (molto amabile e carina) con le parole: “Ah, una ragazza sveva così bella non può essere una catatonia”.
Mi dispiace davvero molto per il marito, che così ne viene distrutto. Credo che lei non continuerà a vederlo per molto. Devo essermi molto illuso. Da come l’ho conosciuto, lui non le farà delle difficoltà- e anch’io mi comporterei così- disastro su disastro- ma temo che Lei abbia proprio ragione. Abbastanza di questo- non si può cambiare nulla.
La Sua prima lettera ha risvegliato in me il desiderio di poterLa una volta poter vedere per più tempo e in tranquillità- se non fosse per i cinque bambini, che determinerebbero enormi spese di viaggio, capiterei sicuramente da Lei una volta, mi farebbe sicuramente piacere conversare a lungo con Lei. Mi ha molto interessato quello che Lei dice sulle nevrosi coatte- collima con le mie esperienze. Soprattutto la psicoterapia! Mi trattengo attualmente dall’esprimermi apertamente su molte questioni per rispetto al padre Freud.


nel mondo della tomba

http://web.me.com/fargnoli/Senzaragione/Progetto_psichiatria/Voci/2011/4/9_Tre_tentativi_di_cura.html  [traduzione con qualche taglio dell'articolo originale di Hirschmüller del 2002, tradotto da C. Iannaco e Annelore Homberg per 'Il sogno della farfalla', 2005, n.1]

http://simonamaggiorelli.com/2011/04/09/4383/  [Simona Maggiorelli, 'Il caso Ellen West.Fu istigazione al suicidio?', intervista a Annelore Homberg]


http://www.asanger.de/titeluebersicht/psychotherapieanalyse/ellenwestiii.php  [Asanger Verlag: il primo libro di Hirschmüller, e la successiva edizione del diario di E.W.]


http://www.gesnerus.ch/fileadmin/media/pdf/2004_3-4/305-330_Book_Reviews.pdf  [Esther Fischer-Homberger, Bern]


http://www.psychiatryonline.it/ital/marazia.htm  [Chantal Marafia, 2003].


http://www.eatingdisordersreview.com/nl/nl_edr_14_1_11.html  [New documentation on the famous case of 'Ellen West'”, Walter Vandereycken, MD, PhD
Reprinted from Eating Disorders Review
January/February 2003 Volume 14, Number 1]


http://gconse.blogspot.it/2011/04/nel-regno-dellansia-g-conserva-2005.html  ['Nel regno dell'ansia', G.Conserva, 2005; la sezione I e II, 'Un suicidio' e 'Rogers', sono dedicate a E.W.]


http://www.agenziax.it/imgProdotti/4D.pdf  [Antonio Caronia e Domenico Gallo, 'Philip K. Dick. La macchina della paranoia. Enciclopedia dickiana', Agenzia X 2006- CREATIVE COMMONS]


http://de.wikipedia.org/wiki/Ludwig_Binswanger


Ludwig Binswanger, 'Il caso Ellen West', a c. di Stefano Mistura, Einaudi 2011

http://books.google.it/books?id=zeItYv9L2QgC&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false  [Eugenio Borgna, 'L'attesa e la speranza', Feltrinelli 2005)

http://www.einaudi.it/media/statici/newsletter/298/binswanger_repubblica.pdf  [Pietro Citati, 'Il male oscuro. Quella lotta di Ellen contro il suo corpo', REPUBBLICA, 17-3-2011]


http://libgen.info/view.php?id=537357  [Rollo May, Ernest Angel , Henri F. Ellenberger (Editors), 'Existence: a New Dimension in Psychiatry and Psychology', Basic Books, 1958; pp.237-364 'The case of Ellen West- An anthropological-clinical study' by Ludwig Binswanger]

 
























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